Il connubio fra leggi razziste ed obiettori di coscienza genera aborti clandestini

Come avevamo già segnalato, gli aborti clandestini sono in crescita esponenziale. Riportiamo qui di seguito due articoli pubblicati su la Stampa a proposito dello ‘spaccio’ di Cytotec a Milano, un analizzatore importante per capire come la presenza di obiettori negli ospedali e nei consultori sommata al panico generato dalle leggi razziste rappresenti un pericolo per tutte.
Non abbiamo dubbi che in questo paese ipocrita e bigotto ora si assisterà alla criminalizzazione delle donne che procurano il Cytotec e di quello che ne fanno uso anziché risolvere il cuore del problema: il diritto per tutte le donne di accedere alle strutture sanitarie senza dover subire umiliazioni, lunghe trafile o rischiare di esser denunciate perché senza permesso di soggiorno.
Ricordiamo alle donne, italiane e migranti, che a pochi metri dalla fermata di Loreto – in via dei Transiti, MM1 Pasteur – c’è la Consultoria autogestita a cui potete rivolgervi per essere indirizzate a strutture pubbliche che non denunciano e che non contrastano il diritto delle donne di scegliere se e quando essere madri.
Questi i nostri orari: il primo martedì del mese dalle 14.30 alle 18.00; tutti gli altri martedì dalle 16.00 alle 19.00.
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Morire d’aborto in Italia nel 2009…

Questa mattina all’alba, mentre cominciava il presidio contro lo sgombero dell’ambulatorio popolare di Milano, abbiamo letto, sconcertate, questa notizia su un quotidiano.
E’ questa l’Italia del ‘pacchetto sicurezza’: sgomberare un ambulatorio medico, con annessa consultoria, mentre altrove una donna migrante muore dissanguata in casa per paura di rivolgersi alle strutture pubbliche.
Assassini!
 
Bari: Vira Orlova, 40 anni senza permesso di soggiorno muore dissanguata per paura di una denuncia 
Ha cominciato a perdere sangue, probabilmente per un aborto spontaneo, si è sentita male ma non ha voluto chiedere aiuto. Ha avuto paura. Paura di perdere il lavoro appena trovato, paura, forse, di essere giudicata. Così è morta Vira Orlova, che si faceva chiamare Ylenia, una donna che avrebbe compiuto 40 anni l’11 giugno prossimo, di nazionalità ucraina, arrivata – forse due anni fa – in Italia, come tante donne dei Paesi dell’Est, per fare la badante. Il suo corpo è stato trovato in una pozza di sangue in un appartamento di via Grotta Regina, nella località costiera barese di Torre a Mare. Di lei si sa poco. Gli investigatori stanno cercando di rintracciare le sue amiche per poter ricostruire i suoi ultimi giorni di vita, anche per risalire alla data di arrivo in Italia. Per il momento i carabinieri hanno trovato il suo passaporto nella stanza che occupava: sanno il suo nome, la sua età, sanno anche che era una clandestina perchè sul passaporto non ci sono visti di ingresso in Italia, e sanno che in quell’abitazione di Torre a Mare Ylenia accudiva da pochi giorni un’anziana non autosufficiente. È stato proprio il figlio dell’anziana a dare l’allarme ai carabinieri e a raccontare agli investigatori che Ylenia – questo il nome riferito dall’uomo – «era in prova». Secondo il racconto dell’uomo, Ylenia era in quella casa solo da pochi giorni. Secondo quanto finora è stato accertato dai carabinieri, la badante durante la notte, mentre probabilmente era sola in casa con l’anziana, avrebbe avuto una forte emorragia, forse causata da un aborto spontaneo. La donna ha raccolto il sangue che perdeva in una bacinella, che è stata trovata dagli investigatori nella sua camera da letto. Chiusa nella sua stanza, Ylenia aspettava e sperava di star meglio. Poi è uscita dalla camera da letto per andare in bagno, ma è stata colta da malore ed è caduta per terra, in seguito alla forte perdita di sangue. È morta senza chiedere aiuto. Il passaporto della donna è stato trovato in un appartamento di Mola di Bari, a pochi chilometri dal capoluogo pugliese, nel quale lei si recava, ospite di amiche, nei giorni di riposo. Donne che i carabinieri ritengono siano clandestine e delle quali si ha traccia nel racconto fatto ai carabinieri dal proprietario dell’appartamento dove lavorava. Non è stato per ora possibile rintracciarle. Ylenia pare fosse separata e madre di un figlio ormai grande. Tra i suoi effetti personali i carabinieri non hanno trovato alcun riferimento che possa condurre ai familiari: solo alcuni medicinali con caratteri cirillici, giornali in lingua russa e un portafoglio contenente 30 euro. Il suo attuale datore di lavoro ha riferito ai carabinieri che prima di giungere a Torre a Mare la donna aveva vissuto per un periodo a Mola di Bari. Il corpo della donna è stato trasferito all’ospedale di Acquaviva delle Fonti (Bari) per l’autopsia disposta dal sostituto procuratore di turno Ada Congedo.
Fonte: http://www.osservatoriorepressione.org/

Chiuso il servizio di IVG al II Policlinico del Centro Storico di Napoli

Comunicato dell’UDI di Napoli
Alcune cittadine ci hanno esposto di non aver potuto prenotare i loro interventi in day surgery presso il II Policlinico del Centro Storico di Napoli, principalmente le interruzioni di gravidanza. Il blocco totale del reparto è stato deciso e comunicato dal direttore dott. Marcello Ciervo, in seguito ad un’ispezione dei NAS che ha messo in evidenza alcune inottemperanze.
Noi dell’UDI abbiamo denunciato la gravità di tale provvedimento ed invitato le autorità competenti a provvedere agli adeguamenti necessari tempestivamente, al fine di riprendere la normale attività. In assenza di chiari e rassicuranti segnali di una volontà di ripristino nel senso dell’interesse e del diritto delle cittadine, non potremo che dar seguito alla nostra denuncia nelle sedi legali.
Quanto avviene periodicamente, e sempre più spesso nel nostro paese, nei reparti di IVG è in stretta relazione alle reticenze politiche nei luoghi decisionali, che relegano sempre di più la salute e l’autodeterminazione procreativa delle donne ai margini del sistema sanitario.
Le inottemperanze da parte dei responsabili politici e sanitari, riscontrate dai NAS, si sono dipanate nel non aver provveduto ad allocare alternativamente i servizi in questione, in attesa dei dovuti adeguamenti alla struttura.
La Regione Campania non dispone di un centro unico di prenotazione degli interventi di IVG, servizio che invece più volte l’UDI ed altre associazioni hanno chiesto in modo visibile e chiaro, per superare il disagio dell’incertezza delle utenti di fronte all’indisponibilità di una struttura, indirizzandole a quella disponibile.
La regione Campania non rende disponibile l’RU486, l’interruzione di gravidanza farmacologica, privando le utenti di un’alternativa meno invasiva di quella chirurgica e meno gravosa dal punto di vista delle degenze.
Simili circostanze, in concorso con un clima politico di occultamento della dimensione femminile dei diritti e dei bisogni, stanno segnando nel nostro paese il ritorno alla cultura della clandestinità, e del lucro conseguente, su uno degli eventi dolorosi della vita delle donne.
In questo tempo elettorale la politica dispensa rassicurazioni, sulle cui prospettive l’esperienza ci illumina. 
Ancora di più ci illumina che, nel potere, la metà dell’elettorato che ha problemi come quello di cui parliamo, sia rappresentata dai sogni maschili.
Fonte: http://www.womenews.net/spip3/spip.php?article4019

Ivg transfrontaliere

A titolo informativo pubblichiamo questo articolo che non ci sorprende affatto in quanto, più che evidenziare un problema di privacy, riflette la disassistenza programmata denunciata quasi un anno fa nell’assemblea milanese di OgO.

I viaggi per l’aborto in Svizzera «Una donna su tre è  italiana»

Su 682 aborti eseguiti nel 2008, più di 200 sono stati  richiesti da italiane. Picco di interventi in Canton Ticino

MILANO – È italiana quasi una donna su tre, di quelle che  hanno interrotto la gravidanza in Ticino lo scorso anno. A lanciare l’allarme  sul «turismo abortivo» in Svizzera è stato Carlo Luigi Caimi, avvocato e  deputato del Gran Consiglio per il Ppd (la corrente dei democristiani), che  giovedì scorso ha presentato una interpellanza al Consiglio di Stato  denunciando il totale fallimento della politica di prevenzione del Cantone. I  dati sono stati elaborati dall’Ufficio statistica e dall’Ufficio del medico  cantonale. Nel 2008 in Ticino sono stati fatti 682 aborti, con un incremento  dell’11,25% rispetto all’anno precedente (la tendenza italiana è -3,9%). Nel 33  per cento dei casi le donne erano residenti «all’estero».

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Breve storia della RU486

Per scelta non abbiamo riportato qui l’ammorbante dibattito delle ultime settimane sull’introduzione della RU486 in Italia; preferiamo proporre la lettura di questa intervista al suo ‘inventore’ che ripercorre vent’anni di fatti e misfatti.

La nostra posizione rimane, per altro, quella di ribadire l’importanza della sessualità consapevole come miglior mezzo per prevenire gravidanze indesiderate e, di conseguenza, l’aborto.

 

Il Dottor Pillola: "La mia Ru486 vi spiego perché va  difesa"

Parla Emile-Etienne Baulieu, il padre della pillola  abortiva che dall’anno prossimo arriverà, tra le polemiche, anche in Italia

di ANAIS GINORI

 

PARIGI – Nel caos organizzato del suo ufficio, l’opera  completa di Pasteur e le ultime riviste scientifiche si mischiano ai frivoli  schizzi della pittrice Niki de Saint Phalle. Per entrare bisogna superare pile  di libri a terra. Sulla scrivania, accanto ai figli e ai nipoti, c’è la  fotografia di Gregory Pincus, padre della pillola contraccettiva. All’età di  ottantadue anni appena compiuti, Emile-Etienne Baulieu dovrebbe già essere in  pensione. Ma continua ad occupare attivamente una stanza all’Inserm di Parigi,l’istituto nazionale per la ricerca, dove dirige e smista consulenze, ricerche,conferenze. E’ l’inventore della pillola abortiva. Mister Ru486. Ovvero  l’acronimo tra la casa farmaceutica (Roussel-Uclaf) e il numero della molecola  di mifepristone. La pillola della discordia, "kill pill" per i nemici,che in Italia non è mai stata approvata. "Non mi faccia polemizzare"  premette subito lui, dopo essersi inchinato per un desueto baciamano. In  realtà, Baulieu è abituato a fare l’avvocato di se stesso.

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Il ‘decreto sicurezza’ scavalca i diritti sanitari?

Nonostante la legge ancora (ma per quanto?) garantisca il diritto all’assistenza sanitaria per tutte/i, compresa l’Ivg, come avevamo già specificato nel vademecum, una donna ghanese sprovvista del permesso di soggiorno è stata arrestata a Treviso dopo un’interruzione di gravidanza in una struttura pubblica.

Questa notizia gravissima, apparsa nel sito della Società italiana di medicina delle migrazioni, ci dice molto sugli effetti collaterali del ‘decreto sicurezza’…

Un accanimento inutile e dannoso. Si presenta in ospedale per sottoporsi ad una interruzione volontaria di gravidanza ma la polizia, al termine dell’intervento, la arresta perche’ irregolare. E’ accaduto a Treviso ad una ragazza ghanese di 20 anni, senza fissa dimora. Il presidente della provincia di Pordenone afferma “La norma che vieta di segnalare alle autorità i clandestini che utilizzano le strutture sanitarie è un’autentica vergogna” e chiede al ministro dell’Interno Maroni di attivarsi per rivedere gli articoli legislativi riguardanti l’assistenza sanitaria a chi risiede illegalmente in Italia. In particolare propone di abrogare la disposizione che prevede il divieto per il personale sanitario di segnalare alle autorità di Polizia i clandestini che richiedono aiuto medico.

La SIMM risponde dal sito di La Repubblica-Metropoli.

fonte: http://www.simmweb.it/

 

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“Mobbizzati perché applichiamo la 194”

A difesa della legge, dell’etica professionale e della salute della donna i ginecologi non obiettori fondano l’associazione L.A.I.G.A.

Per capire meglio la regressione della civiltà nel nostro paese basterebbe andare nei reparti di  ginecologia dove, oramai, sono rari come le mosche bianche i medici non obiettori. Sono rimasti talmente in pochi da essere isolati e in molti casi derisi, emarginati professionalmente e addirittura  mobbizzati. Sono talmente impauriti che quelli tra loro che praticano l’aborto terapeutico vengono visti come estremisti dell’autodeterminazione della donna.

La ginecologa romana Silvana Agatone ha preso coraggio e ha denunciato pubblicamente questo stato di disagio: «Quanti siamo e chi siamo noi ginecologi ospedalieri che affrontiamo le tematiche dell´aborto terapeutico in ospedale? Non lo sappiamo, perché non esiste una lista delle regioni, né all´istituto superiore di sanità, né al ministero della Salute», scrive in una lettera ai giornali. Leggi tutto ““Mobbizzati perché applichiamo la 194””

E’ estate, vietato abortire. Donna rimane in corsia

L’intervento terapeutico negato a una paziente ricoverata al San Camillo di Roma

L’unico anestesista non in ferie è obiettore e si è rifiutato di operare
La diagnosi prenatale parla di "feto idrocefalo e displasia renale bilaterale"

di LAURA SERLONI

ROMA – Tutti in ferie gli anestesisti non obiettori del centro per le Interruzioni volontarie di gravidanza dell’ospedale San Camillo-Forlanini. E una donna resta bloccata quattro lunghi giorni in astanteria, aspettando l’aborto terapeutico. Dolori lancinanti e stress, ma nessuno interviene. Tutto rimandato a lunedì. Nella speranza che, nel pieno della settimana ferragostana, si trovi un medico non obiettore disponibile a infilarsi il camice.

La diagnosi, stilata da un centro di Verona specializzato in analisi prenatale, è chiara. Parla di "feto idrocefalo e displasia renale bilaterale". In altre parole il cervello del piccolo sarebbe pieno di liquido amniotico e proprio per la malformazione ai reni non riuscirebbe a respirare fuori dal grembo materno. La patologia è stata riscontrata solo al quinto mese di gravidanza. E l’unica soluzione prospetta dai sanitari è l’aborto terapeutico, ma i tempi sono strettissimi. Per la legge 194, l’interruzione di gravidanza non può essere eseguita oltre la ventiduesima settimana. Restano quattordici giorni, durante i quali bisogna riuscire a trovare un centro per l’intervento.

L’ospedale più vicino per la donna è quello di Borgo Roma nel veronese. "Nonostante i numerosi referti che indicano la gravissima patologia – racconta il marito – volevano far fare a mia moglie altri accertamenti e protrarre i tempi. Ma le condizioni erano così critiche che rimandare ulteriormente l’intervento mi sembrava una follia. Così ci hanno consigliato di venire al San Camillo, ma qui la nostra via crucis continua".

La paziente martedì arriva a Roma. Non ci sono stanze. O meglio, nel reparto di Ostetricia è disponibile un solo letto per l’interruzione volontaria di gravidanza. Per la carenza di infermieri non c’è posto nel padiglione di Ginecologia. Il giorno dopo la trentenne viene ricoverata con urgenza. Passano le ore. Niente. Le vengono somministrati farmaci per indurre il parto, ma l’utero non si allarga. Nel sangue è alta la concentrazione di medicinali. La pressione arteriosa è flebile. Per i sanitari, l’unica soluzione è l’intervento chirurgico. Occorre l’epidurale per garantire l’effetto sedante. Ma nell’ospedale non si trovano anestesisti, sono in vacanza e sul piano delle presenze la scritta "in ferie" corre sui vari nomi.

L’unico di turno, obiettore di coscienza, si rifiuta di procedere. Quindi, l’operazione è rinviata. A quando non si sa. Gli spasmi sono lancinanti. Gli antidolorifici fanno effetto, ma la donna è costretta a restare sdraiata, immobile nel letto, ancora per giorni. Il fine settimana è off limits. Si ferma anche la somministrazione di farmaci per indurre il parto perché il sangue si depuri. "Se ne riparlerà lunedì", tagliano corto i medici.

"Non mi hanno dato nessuna certezza – si sfoga la paziente – e la cosa assurda è che sono in balia del caso e delle vacanze dei sanitari. Finora mi sono solo sentita ripetere "si vedrà". Non mi hanno dato dei tempi certi e il termine per eseguire l’aborto scade giovedì, poi sarò costretta a tenere il bambino fino al nono mese, ma nascerà comunque morto. Se volessi cambiare ospedale dovrei ricominciare tutto daccapo: altri accertamenti, nuove visite, ancora impegnative e ulteriori affanni. Così molte donne sono costrette ad andare all’estero, dove tutto sembra più semplice". Insomma, gli stessi problemi sono rimandati all’inizio della settimana prossima, sperando che allora scendano in campo anestesisti non obiettori. Altrimenti bisognerà aspettare ancora.

fonte: repubblica

Inchiesta sul business della sanità in Italia

Le mani sulla sanità

di Paolo Biondani e Daniela Minerva

 

Cento miliardi l’anno. È il costo della salute in Italia. Una torta da spartire per la politica. Tra nomine, appalti e rimborsi a privati. Un business che sempre più spesso finisce nel mirino della magistratura

Oggi è in cronaca l’Abruzzo. Un mese fa c’era la Lombardia. Prima il Piemonte, la Puglia, il Lazio, la Calabria: da almeno 15 anni, decine di indagini giudiziarie documentano migliaia di truffe, sprechi, clientelismi, favoritismi, disservizi, frodi criminali, corruzioni e infiltrazioni mafiose. La salute degli italiani muove un giro d’affari di oltre 100 miliardi di euro. Che molti vedono come una torta da spartire. E i pm di Milano che indagano sulla Santa Rita e le altre "cliniche degli orrori", in un’audizione segreta al Senato, finiscono col descrivere la sanità come «un sistema che fa diventare i reati una prassi».


Come è potuto succedere?
Da un lato c’è un flusso continuo, e da decenni in crescita, di denaro pubblico a disposizione per appalti, convenzioni con strutture accreditate, gente da assumere. Dall’altra ci sono i partiti alla guida delle Regioni, che stringono la morsa su ospedali e Asl attraverso il loro plenipotenziario, il direttore generale. Dopo la legge Bindi di riforma del Servizio sanitario nazionale del 1999, il manager è nominato dal governatore, quindi dalla politica, ed è lui che decide tutto: dai contratti alla scelta dei primari. In mezzo ci sono i medici, che maledicono quella legge che ha tolto loro tutto il potere e li ha messi nelle mani della politica; e i malati, che in molte parti d’Italia fanno sentire la loro voce e minacciano chi li governa, ma in molte altre no. Leggi tutto “Inchiesta sul business della sanità in Italia”

Guerra sulla pillola del giorno dopo in Puglia

L´assessore ordina: "Sarà distribuita in tutti gli ospedali pugliesi"


Il pronto soccorso generale del Policlinico di Bari distribuirà da oggi la pillola del giorno dopo. E lo stesso dovranno fare, il prima possibile, anche tutte le strutture d´emergenza degli ospedali pugliesi. A disporlo è stato direttamente l´assessore alla Sanità, Alberto Tedesco, dopo l´interrogazione presentata da due consiglieri regionali di maggioranza. «Visto che il pronto soccorso di ginecologia, e in particolare il suo primario Giuseppe Varcaccio, pongono problemi, ho chiesto al direttore sanitario del Policlinico, Dattoli, di disporre ad horas la distribuzione del farmaco al pronto soccorso generale. L´unico interesse in questo momento – spiega Tedesco – è tutelare il diritto delle donne affinché possano accedere a quel tipo di farmaco che non è abortivo, ma contraccettivo. In un secondo momento poi si valuterà se la decisione di Varcaccio è legittima».  Leggi tutto “Guerra sulla pillola del giorno dopo in Puglia”