Rovesciamenti, rappresentazioni mediatiche falsificanti, produzioni fittizie di ‘verità naturali’, riattivazione di dispositivi stigmatizzanti e criminalizzanti sono funzionali oggi – come già ieri e secoli fa – ad agire un controllo feroce convogliando su vecchi e nuovi ‘mostri’ paure, fantasmi, odio.
Lo zingaro che ruba i bambini e la strega che li mangia sono due facce dello stesso cliché persecutorio, oggi più che mai funzionale per distogliere dai problemi reali, dalla precarietà esistenziale data dallo sfruttamento, dall’inquinamento alimentato dai consumi, dalle devastazioni ambientali figlie della logica del profitto e del dominio dell’uomo (sì, lui: il maschio capitalista) sull’ambiente e su tutti gli altri esseri viventi, dalla costante millenaria e transculturale della violenza femminicida.
Se tutto ciò sembra aver poco a che fare con la campagna Obiettiamo gli obiettori è perché non siamo più capaci di analisi complesse e complessive, vittime anche noi della logica riduzionista. Ma basta uno sguardo un po’ meno superficiale all’intrecciarsi dei discorsi dominanti con le nuove&vecchie forme di oppressione contro le donne e i ‘diversi’ per vedere anche dietro alla disperazione di un aborto clandestino – causato dalla ‘coscienza’ degli obiettori – e alla difesa ipocrita della vita una storia che dura da troppi secoli.
Gli zingari rubano i bambini e le streghe se li mangiano
Gli zingari rubano i bambini, si sa. Così come si sa che le streghe li prendono dalle culle e poi se li mangiano durante il Sabba, facendo a gara coi comunisti (ormai in via d’estinzione) a chi ne mangia di più. Poi ci sono anche gli ebrei che fanno omicidi rituali e inquinano le fonti d’acqua, e gli arabi che avvelenano gli acquedotti. E che dire degli untori che diffondono la peste? O degli indios cannibali e sodomiti. Ah, ma a questi ci hanno già pensato i conquistadores sterminandone 69 milioni in pochi decenni, direte voi. E’ vero, infatti ne sono rimasti pochi. Vanno invece moltiplicandosi gli eretici, e il fenomeno è al di fuori di ogni controllo. In particolare i dolciniani stanno crescendo esponenzialmente. E che dire dei turchi e del diavolo in persona?
Mammamia, siamo circondate!
Chi/cosa ci salverà? Forse quel minimo di lucidità residuale che può aiutarci ad uscire dal clima delirante di paura che ci opprime e paralizza. Per chi ancora crede che la storia si svolga lungo una linea retta di continua evoluzione abbiamo una brutta notizia: non è affatto così.
Ci sono dispositivi sociali che hanno una storia lunga secoli, che pensiamo superati e abbandonati nel ‘buio medioevo’ e che invece sono sempre lì, pronti a riattivarsi non appena l’ignoto suscita solo paura e non più una sana curiosità di conoscere e sapere. Quando l’ignoto, nella veste dell’Altro o dell’Altra, è già mostro pur essendo solo un fantasma.
O quando il noto ci diventa improvvisamente ‘straniero’ e l’unica reazione che conosciamo è la xenofobia.
Ma torniamo agli ‘zingari’. Improvvisamente, negli ultimi giorni, pare sia in atto un’epidemia di rapimenti di bambini da parte di rom. Poi, scava scava, quello che si scopre è che in realtà i bambini vengono spesso tolti alle famiglie rom e diventano dei veri e propri desaparecidos, con madri disperate che non hanno più notizia dei propri figli. Ma il dispositivo che si attiva non è quello dei tribunali cattivi che li tolgono alle famiglie, bensì il solito, antico, rodatissimo stereotipo: gli zingari rubano i bambini. E ancora una volta vediamo come tutta questa ‘brava gente’, pronta a tollerare – quando non addirittura a far scoppiare e alimentare – l’ennesima pulizia etnica in nome di un presunto ‘furto di bambini’, o in nome di ‘ordine e sicurezza’ non dica mezza parola sui dati di bambini e bambine fatti sparire per espiantare loro gli organi utili alla sopravvivenza dei ricchi occidentali, anche italiani, o per soddisfare le voglie di questi stessi con l’hobby del turismo sessuale. Hobby particolarmente gettonato tra gli italiani – 80mila ogni anno in giro per il mondo in cerca di bambine/i e ragazzine/i – e che rende più del traffico di droga. Anzi, incolpare gli zingari di rubare i bambini è un buon modo per coprire il business delle adozioni (legali o meno, poco cambia), strada lungo la quale, ironia della sorte, scompaiono anche tanti bambini rom e romeni (i primi costano 4mila euro, i secondi 10mila) adottati da famiglie occidentali.
Non apriamo qui la questione, arcinota, dei preti e dei missionari pedofili e dei loro traffici, perché ad essa andrebbe dedicato un apposito blog.
Veniamo, invece, all’altro dispositivo – quello delle streghe che mangiano i bambini – sempre ben tenuto in vita dalla chiesa cattolica e recentemente riattivato anche dalla nostrana propaganda elettorale ‘pro life’. Sorvolando con la consueta ipocrisia i dati raccapriccianti sulla violenza maschile contro le donne, soprattutto in famiglia, gli italici rappresentanti dell’ideologia antiaborista (usiamo, qui, volutamente il maschile perché, significativamente, a blaterare sull’aborto son sempre soprattutto gli uomini) con la loro – fallita, fallitissima! – proposta di moratoria hanno definito ‘omicide’ le donne che abortiscono, riattivando anche in questo caso un dispositivo secolare: quello della donna infanticida, illustrato con chiarezza da Adriano Prosperi nel suo Dare l’anima. Storia di un infanticidio (Einaudi, 2005), che consigliamo a tutte di leggere.
A partire da un caso di infanticidio risalente al dicembre 1709, l’autore ci accompagna in un excursus assai interessante che ci porta dalla gestione ecclesiastica a quella statale dei casi di infanticidio e di aborto, in un arco di tempo che va dal medioevo all’età moderna, dai preti agli inquisitori ai tribunali, in cui l’infanticidio permane come ossessione e di cui sono accusati/e – guarda caso – ebrei, eretici, zingari, streghe. E incontriamo preti stupratori, l’oscillazione di questo atto (l’infanticidio) tra il peccato e il reato a seconda che la gestione fosse delegata alla chiesa o al sovrano, il passaggio alla sfera politica in cui l’onore della donna vien fatto coincidere con l’onore della città (che fregatura!) i primi tentativi di incanalare la sessualità nella forma-famiglia, le ispezioni forzate alle donne sospettate di gravidanza per poter agire su di esse il controllo totale e la patriarcale figura del mallevadore della sicurezza del parto – cioè il garante del buon comportamento della donna in gravidanza in assenza di un marito. Significativamente, rileva Prosperi, nel ‘700 col diminuire della persecuzione contro le streghe aumenta quella delle infanticide e intanto nascono gli ospizi per i ‘trovatelli’ e la ‘polizia medica’ per il controllo delle donne. In tutto ciò, va rafforzandosi sempre più la rappresentazione della donna gravida come potenziale assassina, che darà il via a quella crescente separazione/contrapposizione tra la donna e il feto i cui esiti sono ancora oggi davanti ai nostri occhi.
Per dirla con le parole di Barbara Duden e del suo intramontabile Il corpo della donna come luogo pubblico. Sull’abuso del concetto di vita (Bollati Boringhieri, 1994), ormai "La madre si è volatilizzata riducendosi a una bolla trasparente. L’oggetto ha acquisito vita propria". L’oggetto, cioè il feto-feticcio mediatizzato, quello costruito ad hoc con finte fotografie e riprodotto all’infinito diventa così il sacrum, e la donna viene ridotta a teatro della sua ierofania – o ad assassina blasfema. Ma, ci ricorda Duden, questo feto pubblico "E’ un idolo in cui un nulla si rivela quale valore più alto: la ‘vita’ quale assoluto capovolgimento del ‘vivente’, a cui tutto deve essere sacrificato".
Maniago. Lo scrittore maniaghese Emiliano Grisostolo, autore di 5 romanzi di genere noir sociale pubblicati negli ultimi 10 anni, aprirà le danze ad una tre giorni dedicata al noir, presentando il suo nuovo romanzo Il castello incantato, editrice ZONA, giovedì 27 novembre alle ore 20.45, al Teatro Verdi.Dopo molte recensioni positive rintracciabili sul web, una delle quali pubblicata dal Corriere Nazionale nel luglio scorso, e molti interventi in radio e televisioni regionali, l’ autore Grisostolo che si definisce l’ operaio scrittore presenta finalmente il suo romanzo Il castello incantato.
Un lavoro dove la storia tragica di una ragazza rapita, all’interno di un traffico internazionale di donne per l’avvio alla prostituzione, si mescola con la vendita di neonati a coppie che non possono averne, e con il mistero della leggenda metropolitana dei rapimenti di persone a caso per l’espianto degli organi. In questa storia Emiliano Grisostolo propone una propria teoria del meccanismo in merito alle sparizioni sempre crescenti, portando soprattutto alla luce quei fatti di cronaca che spesso i giornali e le televisioni non trattano a dovere, perché ritenuti angosciosi.
La commozione di un momento viene presto dimenticata, così nel suo “Il castello incantato” l’ autore spiega i meccanismi, le storie personali, ciò che si nasconde tra noi, nelle pieghe del nostro territorio, che non vediamo o che spesso non vogliamo vedere. Una storia complessa, continuazione del precedente lavoro di Grisostolo del 2006, Il grande burattinaio, del quale il regista Canderan aveva detto “Un film già pronto per essere girato”, un libro che lo stesso PM Dott. Pietro Montrone della Dda di Trieste ha definito “Una storia vera”, così come Il castello incantato, che Grisostolo presenterà con la collaborazione di Lisa Filippin e dell’avvocato Gaetano Protti.
il suo sito ufficiale è
http://www.emilianogrisostolo.it
http://www.editricezona.it/ilgrandeburattinaio.htm
http://www.editricezona.it/ilcastelloincantato.htm
recensione friulweb.eu
http://www.friulweb.eu/…d=44:libri&Itemid=40
recensione Iannozzi
http://oknotizie.alice.it/…p?us=21d15058cf879208
recensione Corriere nazionale
http://www.editricezona.it/…azionale20-07-08.pdf
un report sulla ricerca che citi
http://www.sivola.net/…rticolo.asp?articolo=2659
(2008-11-10)- L’ampia ricerca “Adozione di minori rom/sinti e sottrazione di minori gagé” commissionata dalla Fondazione Migrantes al Dipartimento di Psicologia e Antropologia culturale dell’Università di Verona e alla direzione del Prof. Leonardo Piasere, si articola in due studi volti a rispondere a differenti ma complementari interrogativi.
L’uno –– in corso di pubblicazione presso CISU – volto a verificare quanti bambini figli di rom o sinti siano stati dati in affidamento e/o adozione dai Tribunali per i Minori italiani a famiglie gagé, condotto da Carlotta Saletti Salza. L’altro – già edito dallo stesso editore col titolo “La zingara rapitrice. Racconti, denunce, sentenze (1986-2007) – sui presunti tentati rapimenti di infanti non-rom da parte di rom, condotto da Sabrina Tosi Cambini.
Il progetto di ricerca “Adozione dei minori rom e sinti” prevedeva la raccolta il più esaustiva possibile di dati documentati relativi all’affidamento e all’adozione di minori rom e sinti a famiglie non rom da parte dei tribunali dei minori italiani, nel periodo compreso tra il 1985 e il 2005, nonché un’analisi dei dati raccolti. La scelta è stata quella di condurre una ricerca sull’affidamento e sull’adozione dei minori rom e sinti a partire dai dati relativi alle dichiarazioni di adottabilità che sono registrati presso le sedi dei tribunali minorili e dalle informazioni raccolte nei servizi sociali di territorio, comunali e ospedalieri, in materia di allontanamento dei minori dal nucleo famigliare. Quindi, sono stati raccolti i dati relativi alle dichiarazioni di adottabilità presso otto (Torino, Bologna, Bari, Lecce, Trento, Firenze, Venezia e Napoli) delle ventinove sedi dei tribunali minorili e sono stati svolti colloqui con i servizi sociali di riferimento. Complessivamente, i casi di minori rom e sinti dichiarati adottabili sono oltre duecento.
I dati raccolti in ciascuna delle sedi dove si è svolto il lavoro di ricerca mostrano differenze rilevanti legate al contesto storico e sociale all’interno del quale, nel corso degli anni, si sono inserite le differenti comunità rom e sinte. Per fare un esempio, vi sono situazioni nelle quali troviamo una mancanza di tradizione del lavoro dei servizi sociali (come a Lecce, dove assistiamo a una pericolosa inversione di ruoli dal momento che l’Autorità Giudiziaria minorile si sostituisce alla tutela sociale che dovrebbero invece esercitare i servizi di territorio) e contesti nei quali invece i servizi sociali vantano una sorta di specializzazione nel lavoro con le comunità rom (vedi il caso di Firenze, Torino, Venezia), con una pericolosa stigmatizzazione della cultura da parte dei differenti operatori coinvolti.
Nel complesso, l’analisi dei dati mostra la facilità con la quale, nelle diverse realtà analizzate, la tutela sociale (dei servizi di territorio) e civile (dell’Autorità Giudiziaria) scivolano nell’indifferenziare l’identità di un minore rom con quella di un minore maltrattato. Come se la cultura “altra” potesse fare del male al bambino. Questo è ciò che pensano molti degli operatori incontrati. Tutti i minori rom, in quest’ottica diventerebbero dei bambini maltrattati. L’intervento di tutela operato in molti contesti diventa quindi quello di allontanare, togliere il minore dal suo contesto famigliare, per educarlo, come se la cultura rom non avesse un modello educativo o, per lo meno, come se la cultura rom non avesse un modello educativo valido. I concetti impliciti che precedono questa riflessione propria di molti operatori così come di molti magistrati minorili, vedono il bambino rom come soggetto di una situazione di pregiudizio solo e proprio perché è rom o perché vive su quel pezzo di terra dove si trova il “campo nomadi”. Precisamente, i presupposti impliciti di molti operatori sono che:
– la cultura rom è da considerarsi “mancante”, sempre e comunque, con tutti i bambini;
– nella cultura rom vi è un’assenza delle capacità genitoriali;
– da parte dei genitori e/o della famiglia rom vi è un’assenza della tutela dell’infanzia.
Sono proprio questi i presupposti in funzione dei quali l’intervento di tutela sociale e/o civile del minore rom diventa facilmente quello di tutelarlo dalla sua famiglia o dalla sua cultura. Cosa accade allora ai minori rom? La ricerca svolta evidenzia che la difficoltà di molti operatori nel riconoscere l’identità del bambino rom, il suo modello educativo, porta a gravi situazioni in cui di fatto il minore non viene tutelato. I circa duecento casi riscontrati di dichiarazione di adottabilità, infatti, denunciano un grave “pregiudizio” (così come inteso dal codice civile) nel quale si troverebbe questa volta non il minore rom, ma il contesto istituzionale che ruota intorno a quella che dovrebbe essere la tutela di qualsiasi minore. Una tutela dalla quale il minore rom, paradossalmente, resta escluso.
Abbiamo quindi situazioni nelle quali i minori trovati in strada da soli o con gli adulti di riferimento vengono allontanati dai genitori e poi inseriti in comunità. Una volta in comunità il provvedimento del Tribunale dei Minorenni dispone che i minori non possano più incontrare i propri famigliari, fino al termine dell’istruttoria. Concretamente questo vuol dire che potrà accadere che i bambini non possano più incontrare i propri genitori per lunghi mesi, con gravi conseguenze nella loro relazione. Gli avvocati che seguono questi casi affermano che, probabilmente, in questi casi, il reale interesse dei vari operatori coinvolti è di trovare il maggior numero possibile di minori per le famiglie non rom che fanno domanda di adozione. Come reagire di fronte a queste gravi denunce? Oppure abbiamo casi in cui i minori vengono allontanati dalla famiglia perché i servizi sociali valutano che le condizioni abitative del nucleo, ovvero quelle del “campo nomadi”, non sono adeguate alla tutela di un minore. Ancora, molte volte ci troviamo di fronte a casi di allontanamento che avvengono con molta violenza, sulla base del mero pregiudizio personale di un operatore qualunque che scrive che quel minore non è tutelato perché “mangia con le mani” o “non indossa il pigiama per andare a dormire”. Con quale presunzione noi non rom continuiamo a immaginare che il nostro modello di vita sia il migliore e quello ideale? E, soprattutto, chi lavora nel sociale non dovrebbe avere una formazione adeguata per lavorare con soggetti che appartengono a culture differenti?
Talvolta la responsabilità della mancata tutela del minore viene data alla cultura, talaltra alle istituzioni, che non sarebbero in grado di offrire a questi nuclei situazioni abitative appropriate. In entrambi i casi, il risultato è che non viene salvaguardato l’interesse del minore di vivere nella propria famiglia. Accadrebbe lo stesso se si trattasse di minori italiani?
Non si vuole qui escludere che possano esserci situazioni di abbandono dei minori rom, non si vuole accusare gratuitamente il lavoro degli operatori, ma si vuole mettere in evidenza la contraddizione nella quale invece cadono in molti (sia gli operatori sociali che della magistratura minorile), identificando sempre il minore rom come abbandonato, potremmo dire, “alla” e “dalla” sua cultura.
Possiamo aggiungere quindi che il tema attorno al quale si sviluppare questa analisi è quello di tutela. Qual’é la nostra concezione tutela e qual’é quella dei romá? Cosa accade al bambino rom mentre per l’operatore si sta verificando una situazione di maltrattamento? Da questo interrogativo si apre una riflessione su due aspetti:
– sulla definizione di quella che viene genericamente definita come la soglia in funzione della quale l’operatore, genericamente inteso, stabilisce che il minore si trova in una condizione di “pregiudizio”. Una soglia viene banalmente interpretata e descritta con un criterio di tolleranza personale: per qualcuno sono i piedi scalzi, piuttosto che il furto o l’accattonaggio o l’appartenenza alla cultura rom, senza riconoscere che il “pregiudizio” dovrebbe essere quello ravvisato specificatamente nell’interesse di ciascun minore. Quello che accade è che i minori rom verranno segnalati all’Autorità Giudiziaria in funzione del grado di tolleranza personale degli operatori sociali, che, come quella di molti cittadini, è molto bassa.
– L’altro aspetto riguarda l’applicabilità della norma giuridica italiana a un contesto culturale differente, un tema che in Italia resta poco approfondito. Al centro di quest’analisi vi è una discussione sulla definizione dei margini dell’applicabilità della norma giuridica a un minore il cui contesto famigliare potrebbe non riconoscere la stessa norma e le sue finalità. In funzione di quali criteri potremo definire l’abbandono di fronte a un minore che appartiene a un contesto culturale differente da quello nel quale è stata elaborata la norma giuridica? Alcuni magistrati portano riflessioni interessanti a questo proposito, affermando che di fronte al minore straniero occorre sempre considerare e decodificare il contesto culturale dal quale proviene, ma il tema resta ampiamente marginale nell’ambito della magistratura minorile. Il risultato è che pochi magistrati minorili riconoscono la necessità di decodificare il contesto culturale del minore e che in molti invece ritengono non opportuno riconoscerne la specificità dettata dall’appartenenza culturale. Questo è quanto emerge nell’ambito del lavoro di ricerca svolto.
Quale soluzione proporre? Frequentemente la cultura non-rom si presenta come “egemone”, più forte di quella dei romá, identificati come appartenenti a una minoranza culturale. Se davvero si riconosce come tale, la nostra cultura dovrebbe prendersi la responsabilità di assumere fino in fondo questo ruolo, creando quegli strumenti che potrebbero anche tutelare il minore rom e la sua famiglia. Questo vorrebbe dire disporre di quegli strumenti di conoscenza che si avvicinino il più possibile al contesto culturale del minore, con il risultato di mettere il minore in una condizione che lo veda tutelato da entrambe le parti: per la magistratura minorile e per la sua famiglia.
Dovremo infine smettere di pensare alle cultura rom come una cultura statica e immutabile, come se i minori fossero destinati alla povertà materiale e culturale dei loro genitori. Se molti romá oggi vivono nei “campi nomadi” è perché si tratta di una chiara scelta delle amministrazioni comunali di mantenere queste comunità in una condizione di grave precarietà sociale e civile. Se i minori rom oggi non sono tutelati e c’è un sistema giudiziario minorile che non li tutela la responsabilità è solo nostra.
La seconda indagine “Sottrazione di minori gagé” originariamente copriva il ventennio dal 1986 al 2005, ma per i fatti successivamente accaduti si è protratta fino al 2007. I casi sono stati individuati e analizzati partendo dall’archivio Ansa e arrivando alla consultazione dei fascicoli dei Tribunali, adottando, oltre a quella giuridica, più prospettive: etnografica, dell’antropologia giuridica ed etnometodologica.
Per dare un quadro del lavoro svolto, possiamo dire che la ricerca si è strutturata in tre fasi: individuazione nell’archivio Ansa dei fatti di nostro interesse; studio del corpus ricavato dall’archivio Ansa per individuare i casi; lavoro sui casi: consultazione dei fascicoli processuali, ricostruzione, comparazione. Quest’ultima fase – che partiva, appunto, dalle informazioni contenute nelle notizie Ansa – ha avuto la sua attività principale nel contatto con le Forze dell’ordine, Procure e Tribunali al fine di verificare se il fatto avesse avuto un prosieguo significativo in termini penali. In caso affermativo, si è cercato di ottenere i permessi per la visione dei fascicoli. Alcune volte, è stato possibile avere un colloquio con il PM e con gli avvocati; in altre, la distanza temporale ha complicato questi passaggi. Per molti è stato possibile anche raccogliere gli articoli apparsi sui giornali e anche su Internet.
Nella nostra analisi prendiamo in considerazione ventinove casi, oltre undici di sparizione di minori (dunque, 40 in tutto), sui quali è da subito opportuno indicare il risultato principale della ricerca, e cioè che non esiste nessun caso in cui sia avvenuta una sottrazione del bambino: nessun esito, infatti, corrisponde ad una sottrazione dell’infante effettivamente avvenuta, ma si è sempre di fronte ad un tentato rapimento, o meglio, ad un racconto di un tentato rapimento.
Alla confusione che generano i media al momento della denuncia del fatto, dando come provato e “vero” il tentato rapimento, se non vi è un arresto non corrisponde quasi mai la notizia dell’esito dell’azione delle Forze dell’ordine. Nei pochi casi in cui questo accade, la notizia non è per comunicare che i rom non c’entrano niente, ma è perché l’esito scioglie in sé altri eventi: truffe, fatti drammatici, situazioni che suscitano ilarità.
In maniera random si è cercato anche di verificare se per i casi in cui era stata sporta denuncia, ma in cui i presunti rapitori si erano dati alla fuga, le indagini avessero risolto la vicenda in qualche modo: si tratta di un ulteriore accertamento rispetto al fatto che se non c’è stata più nessuna notizia in merito questo ci può far dire che non si era poi svolto nessun arresto. D’altra parte – come dicevamo e come alcuni casi dimostrano – laddove le Forze dell’ordine tramite le proprie indagini verificano che è stato solo un equivoco, una percezione errata della situazione, la stampa ne dà poca o nessuna notizia.
La comparazione dei casi ci ha aperto a strade particolarmente significative, attraverso le quali si sono potuti individuare gli elementi cardine dei racconti dei tentati rapimenti, che sono pochi e si ripetono come un frame, un canovaccio concettuale con poche varianti: ad esempio, nella grande maggioranza, si tratta di ‘donne contro donne’ ossia è la madre ad accusare una donna rom di aver tentato di prendere il bambino; non ci sono testimoni del fatto, tranne i diretti interessati; gli eventi accadono spesso in luoghi affollati come mercati o vie commerciali; nessuno interviene in soccorso della madre; non di rado appare la paura che vi sia uno ‘scopo oscuro del rapimento’ per cui la presenza di alcuni mezzi e persone nelle vicinanze vengono interpretate dalle madri (o da altre figure) come complici della zingara (ma i controlli lo smentiscono regolarmente).
L’analisi comparativa dei casi, infine, ci porta a poter affermare che laddove vi è la presenza di un infante, l’avvicinamento di una persona rom è subito vissuto come un pericolo per il proprio figlio: lo stereotipo “gli zingari rubano i bambini” risulta essere molto più potente di qualsiasi altro. Non si ha paura, infatti, che sottraggano il portafogli o la borsa (secondo lo schema mentale “gli zingari rubano”), ma che portino via il bambino.
Dai ventinove, estrapoliamo i sei casi che hanno portato all’apertura del procedimento e dell’azione penale, che rappresentano il cuore del lavoro di ricerca e che nel testo vengono presentati e discussi uno ad uno in particolar modo attraverso i fascicoli processuali.
Si tratta di:
Desenzano del Garda (Brescia) 02/12/1996. Sentenza di colpevolezza [art. 56 c.p. (delitto tentato) art.605 c.p. (sequestro di persona)].
Castelvolturno (Caserta) 18/01/1997. Sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste.
Minturno (Latina) 30/08/1997. Archiviazione del caso.
Roma 10/10/2001. [Sentenza di colpevolezza art. 56 c.p. (delitto tentato) art. 574 c.p. (sottrazione di persone incapaci)].
Lecco 04/02/2005 (il procedimento penale è in corso – II grado).
Firenze 25/10/2005 (il procedimento penale è in corso – I grado, il PM nell’ultima udienza del 17 ottobre 2008 ha chiesto l’assoluzione).
Lo sguardo critico proprio della disciplina antropologica fa emergere dalle carte e dalle aule del tribunale l’utilizzo delle categorie del senso comune da parte degli operatori del diritto come base attraverso cui adattare la categorizzazione prevista nei codici alle circostanze del caso e la costruzione della credibilità dei testimoni nella quale assume un forte peso la capacità retorica delle due parti, intesa anzitutto come coerenza interna del discorso quale testimonianza dell’accaduto. Il tutto retto anche da un ‘ragionevole’ assunto iniziale: la madre non avrebbe nessun motivo per accusare la zingara di un atto non compiuto, in pratica non avrebbe alcun senso che la madre si fosse inventata tutto, per cui quello che ella dice è di partenza da considerarsi in qualche modo “vero”. Non dobbiamo scordarci che ci troviamo davanti a persone appartenenti a gruppi socialmente e giuridicamente deboli: non solo persone immigrate, ma soprattutto e in primo luogo rom (ma chiamati sempre nomadi) e nella maggior parte dei casi “sedicenti”. Addirittura nella sentenza di Brescia si legge che la pericolosità sociale della donna è “in una con la sua condizione di nomade”. Allo stesso modo per il caso di Roma, non ha nessun peso il fatto che il certificato dei carichi pendenti dell’imputata risulti negativo: la sua condizione di nomade sedicente basta – secondo il giudice – a renderla pericolosa e capace di commettere azioni criminose. Il fatto di essere definite nomadi, giustifica di per sé nei confronti delle imputate qualsiasi decisione a tutela della collettività.
Infine, per quanto riguarda episodi di sparizione di bambini (11 casi analizzati), nella maggioranza molto noti all’opinione pubblica, abbiamo ricostruito i vari momenti in cui i rom e sinti entravano tra i soggetti sospetti e gli esiti degli accertamenti che derivavo dall’attività investigativa (sempre negativi). La drammaticità delle vicende di queste sparizioni si rende ancora più acuta in quelle narrazioni di cui si conosce l’epilogo: l’opposizione fra ciò che è accaduto realmente a questi bambini e l’immaginario stereotipico del rapimento da parte dei rom emerge con una forza squassante. Questi bambini sono stati vittime di una violenza brutale tutta interna ai contesti dove vivevano: pedofili, conoscenti, parenti. Anche a partire da questo, il forte invito è quello di allargare il nostro sguardo, interrogarci e riflettere maggiormente su noi stessi (sempre che questo noi così netto esista…).
Le autrici della ricerca
Carlotta Saletti Salza, dottore di ricerca in Antropologia ottenuto presso la Facultat de Ciències Humanes i Socials – Departament d’Història, Geografia i Art – di Castellón de la Plana (Spagna). Svolge da svariati anni attività di ricerca presso Fondazioni e Univeristà. Ha condotto ricerca etnografica tra le comunità xoraxané a Torino e in Bosnia su tematiche relative all’educazione famigliare e scolastica e sulla rappresentazione della morte.
Sabrina Tosi Cambini, dottore di ricerca in Metodologie della ricerca etno-antropologica presso l’Università degli Studi di Siena, svolge da svariati anni attività di ricerca presso Fondazioni, Istituti e Università; è stata operatrice di strada e da tempo coordina progetti sperimentali di lavoro sociale. Attualmente è docente a contratto di Antropologia culturale presso l’Università degli Studi di Firenze e di Antropologia sociale presso l’Università degli Studi di Verona. (10/11/2008-ITL/ITNET)
Finalmente uno studio serio (…peccato che sia proprio la CEI ad averlo commissionato) che svela la falsità di questo mito duro a morire:
DOSSIER CEI
«Gli zingari non hanno mai rapito un bimbo in Italia»
Mariangela Maturi
MILANO
Il sito internet dell’associazione «Troviamo i bambini» segnala tutti i bambini scomparsi in Italia e nel mondo. Spulciando fra le pagine web, le parole «rom» o «zingaro» compaiono un numero infinito di volte. Si parla dei bambini rom venduti, di quelli costretti a mendicare. Ma anche di piccoli italiani rapiti dagli zingari. In un’intervista a la Padania di qualche mese fa, Cora Bonazza, dell’associazione, ha dichiarato: «Non vogliamo dire che tutti i rom sono dediti al rapimento, ma il problema esiste. Abbiamo ricevuto segnalazioni di rom che si aggirano fra i supermercati, dove i bambini piccoli siedono esposti sul carrello della spesa. Basta un attimo di distrazione della madre, e il piccolo sparisce». Ammesso e non concesso che i rom vadano al supermercato per rapire bambini e mai per fare la spesa, il mito della zingara rapitrice affonda le radici nella storia dei tempi. Ancora oggi, negli anfratti più nebbiosi della campagna veneta, le anziane minacciano i nipotini disobbedienti: «Ti faccio portar via dagli zingari». Molto più grave, è stato proprio un caso di presunto rapimento di bambino ad opera di una piccola rom a scatenare la furia e i roghi di Ponticelli.
Eppure, mito e realtà discordano. Ieri mattina, ai microfoni di Radio Vaticana, è stata presentata una ricerca sulle «zingare rapitrici»: promosso dalla fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale italiana, lo studio è stato commissionato all’Università di Verona (la città del sindaco leghista Tosi, condannato dal tribunale per «propaganda di idee razziste»).
I 29 casi di presunti rapimenti di bambini gagè (come i rom chiamano i bambini non rom) e gli 11 casi di sparizioni di bambini vanno dal 1986 al 2007, e nessuno di questi annovera il conivolgimento di rom nel rapimento. L’analisi, condotta avvalendosi anche dell’archivio dell’Ansa e dei fascicoli dei Tribunali, riporta: «Nessun esito corrisponde ad una sottrazione dell’infante effettivamente avvenuta, ma si è sempre di fronte ad un tentato rapimento, o meglio, ad un racconto di un tentato rapimento». Sei casi fra quelli analizzati hanno portato all’apertura di un procedimento penale contro un rom, ma i risultati sono stati «sempre negativi». Non solo: «Questi bambini sono stati vittime di una violenza brutale tutta interna ai contesti in cui vivevano». Come nei casi di violenza sulle donne, quasi sempre il mostro è fra le mura domestiche, non al supermercato, o ai giardinetti.
La ricerca non perdona neanche i media, colpevoli troppo spesso di «generare confusione» nel puntare il dito contro i rom, senza poi dar rilievo alla notizia dell’assoluzione degli accusati (esempio lampante, quello di un presunto tentato rapimento a Catania lo scorso maggio, poi sconfessato in sede di tribunale).
La deriva xenofoba prende piede in tutta Europa. L’altro ieri in Ungheria due rom sono stati uccisi a fucilate nella loro casa (data alle fiamme) durante un raid razzista. Il presidente del consiglio nazionale dei rom e il presidente della Fondazione dei diritti civili dei rom hanno denunciato l’ondata di razzismo dilagante.
Perseguitare i popoli in Europa non è mai passato di moda.
http://www.ilmanifesto.it/…embre-2008/art21.html
Nessuno nega che i bambini vengano rapiti, e mi vengono i brividi solo a pensarci, ma si dovrebbero combattere maggiormente il traffico d’organi e la pedofilia. Un urrà per le nonne!
voi pensate che sia uno scherzo la storia che rubano i bambini.A mio fratello da piccolo quando era con mia nonna lo volevano rapire.
Non conoscevano mia nonna però.
saluti
Aggiungerei un altro dato: con i soliti paradossi all’italiana, il patto di legalità(*) obbliga, fra altre cose, ad avere un lavoro ‘regolare’ (cioè in nero nei cantieri edili per gli uomini — le donne non le prendono nemmeno per le pulizie, manco a pregare), ma poi accade che, come la scorsa settimana nel campo milanese di Triboniano, i controlli polizieschi all’alba impediscano agli uomini di uscire per recarsi al lavoro (in nero, ribadisco, perché la legalità la devono praticare loro, mica gli italiani per cui lavorano) e ciò abbia come conseguenza la perdita del lavoro, perché per i datori di lavoro c’è sempre a disposizione un esercito di riserva di altri senza diritti da sfruttare e se uno non si presenta ne trovano altri cento. Ovviamente, lungi dalla Caritas riconoscere questi ‘effetti collaterali’.
(*) Sul patto di legalità:
questo il testo che i capifamiglia devono sottoscrivere
http://www.casadellacarita.org/…iaTriboniano.pdf
così lo presenta la caritas
http://www.casadellacarita.org/…%20Patto-Rom.pdf
così è in realtà
http://www.cittadinisenzafrontiere.it/…ta%94.htm
E questi sono alcuni degli effetti
http://coopofficina.splinder.com/post/13578314
Saluti a tutte e tutti, e a proposito di maschile sono contenta che i sigg. Luca e Alessandro ci mettano al corrente delle loro idee ma ahimè non delle loro esperienze:io x es. ho partecipato alla manifestazione dell’8 giugno a Roma organizzata da sinti slavi(a proposito il romeno che ha aggredito la vittima Reggiani a Roma è stato denunciato da donne zingare!)ho conosciuto persone straordinarie che non possono dichiarare di lavorare perchè non sono a posto con i libretti,le sovvenzioni che dovrebbero ricevere sono europee e non italiane,manderebbero i bambini a scuola se una sindaca a caso lo permettesse,vorrebbero una casa in affitto se potessero dimostrare di avere un reddito,come popolo è sempre stato cacciato senza fare guerra a nessuno,non è mai stato dimostrato da denunce che alcun bambino fosse stato portato via da loro…perchè non ce la prendiamo con le multinazionali che invece di lasciare i bambini a giocare x strada li usano come schiavi x il loro profitto?la dottoressa che ha paura di sporcarsi le mani forse farebbe meglio a farsele leggere x vedere cosa ha in serbo il futuro x lei!!a me hanno insegnato a non avere pregiudizi e ad avere fiducia nel prossimo,purtroppo questo mi ha portata ad essere stata sì derubata ma da connazionali.
Segnalo il meeting antirazzista contro i pogrom che si terrà a Milano il 13-14 giugno prossimi.
http://lombardia.indymedia.org/?q=node/7097
Se qualcun* conosce migranti che sono state/i vittime dei rastrellamenti sui mezzi pubblici milanesi si metta in contatto con noi perché una nostra compagna con altr* avvocat* sta preparando delle causa pilota sulle discriminazioni contro gli stranieri e sarebbe importante avere testimonianze anche su questa orrenda vicenda.
Scriveteci a maistatezitte@gmail.com
Compagne, ma dobbiamo proprio stare qui a raccontare cosa facciamo a un uomo che in ogni intervento ci dice cosa dovremmo fare, cosa dovremmo andare a dire ai rom; uno che nemmeno sa chi siamo e che facciamo ma dà per scontato come camminiamo per strada, di chi dovremmo aver paura e di chi no. Uno che, soprattutto, ci banalizza col classico ‘ce l’avete con gli uomini’.
Ma dai, con tutte le cose importanti che abbiamo da fare…
Prendiamo atto del dato antropologico che anche in questo blog gli uomini intervengono pensando di spiegarci come va il mondo, come fanno sempre e comunque. La rete e soprattutto i blog sono un ricettacolo di tutto. C’è gente che ormai vive solo virtualmente e non muove mai il culo ma va in tutti i blog a impartire lezioni.
Questo blog ha una funzione precisa, che è promuovere e sostenere la campagna OgO. Ha anche la funzione di strumento per tutti i collettivi e le soggettività femministe e lesbiche per condividere un percorso di lotta.
Dobbiamo sempre farci sottrarre energie da uomini in un modo o nell’altro? E’ così che ci fottono da secoli, rendiamocene conto.
Lo abbiamo anche già detto: l’unica cosa che gli uomini possono fare per questa campagna è interrogarsi sulla propria sessualità, visto che le donne non restano incinte da sole e spesso si piegano a una sessualità che non dà loro alcun piacere (o ben poco) ma ‘solo’ perché così pensano di dover fare, poi l’aborto se lo smazzano loro come se fosse un ‘problema’ loro e basta.
Questo è il blog di una campagna ‘delle donne per le donne’, facciamolo funzionare coerentemente con questi obiettivi, se no non ne usciamo più.
Un conto è se una donna scrive e racconta la sua esperienza; altro conto è trovarsi la lezioncina da sconosciuti che si arrogano il diritto di dire cosa dovrebbe fare (e, soprattutto, cosa NON dovrebbe fare) un collettivo femminista.
Questo non lo accetto: questo blog nasce proprio perché ci sono uomini che si arrogano il diritto di disquisire sulla libertà delle donne di autodeterminarsi e di scegliere per sé e pretendono di dire come ci dobbiamo comportare – gli obiettori, quelli alla Ferrara che abbaiano contro l’aborto, i pretonzoli, i paponzoli, ecc.
Mo’ dovremmo anche star qui a sentirci fare altre lezioncine e a perder tempo per controbattere?
Ma dai….
PS: questo commento è riferito esclusivamente alle compagne. Astenersi perditempo.
Ed ecco che, per chiudere in bellezza la carrellata degli stereotipi, arrivi al “le femministe odiano gli uomini”…a me sembra piuttosto il contrario! ad ogni modo, il punto è estremamente semplice, perchè si tratta di un dato oggettivo: c’è una sola caratteristica che accomuna tutti coloro che stuprano le donne (ma anche i bambini, ragazzini, altri uomini, le trans, ecc), che accomuna tutti coloro che associano la propria sessualità alla violenza e al possesso, e non si tratta del loro paese d’origine, non si tratta della loro estrazione sociale, non è l’età né il mestiere, né la clandestinità, né il colore politico, né la cultura d’origine….vuoi indovinare tu qual’è l’unica caratteristica veramente comune a tutti gli stupratori? sono uomini. E non si può pensare di approciarsi a questo tema senza partire da questa considerazione. Ti parlo della mia esperienza di donna: per strada, di notte come di giorno, vengo importunata (soprattutto se magari oso mettermi una gonna!) tanto dal trentenne in giacca e cravatta quanto da un muratore (italiani o stranieri non fa differenza) e non mi sento meglio se a farlo è un italiano, sinceramente, senza ipocrisia.
Ad ogni modo, per quanto riguarda l’autodifesa per strada, è certamente un tema che non tralasciamo e sul quale non usiamo nessuna ipocrisia, tant’è che teniamo un corso di autodifesa femminile, ti invito a farti un giro sul nostro sito http://www.vieneprimalagallina.org
nella pagina dedicata al corso (http://www.vieneprimalagallina.org/…rogetti.html), durante il quale si insegna che non è una grande strategia di difesa quella di cambiare marciapiede se vedi uno straniero e poi fare gli occhi dolci se è un gruppo di bei ragazzi italiani, dato che appunto gli stupri non hanno distinzione di razza (gli stupratori sono i mariti, il gruppetto di “bulli” adolescenti, i preti, il fighetto in discoteca, il soldato in missione di pace, il padre di famiglia che esce la sera per andare a prostitute, e anche -certamente- gli stranieri).
Per il resto, forse tu la pensi come “noi”, come dici, ma io personalmente mi permetto di non pensarla come te, o almeno non mi sembra. Io penso che questo blog possa essere un utile strumento per mettere in atto una pratica che noi riteniamo fondamentale: quella di analizzare e provare a modificare una realtà che non ci piace (ad esempio in questo caso quella degli obiettori di coscienza degli ospedali) partendo sempre da quella che è l’esperienza di ognuna di noi. Non ci piace sparare opinioni a caso su ciò che non si conosce, così come va di moda in tv, ma partire da quello che è il nostro vissuto, i nostri problemi REALI, i nostri desideri. In questo blog quindi ci piaceva l’idea di mettere in rete sia il più possibile dati su medici obiettori e ospedali, per farci un quadro di come funziona da questo punto di vista il sistema sanitario, sia che potessero emergere le storie di chi, purtroppo, incappa nelle maglie di questo sistema, per denunciarle forte e tutte insieme, perchè nessuna donna si senta isolata di fronte a questo scoglio. Se sei d’accordo con noi, come dici, perchè non ci dai una mano a raccogliere un po’ di dati utili, ad esempio? il tuo farmacista di fiducia è obiettore? (non posso chiederti se lo è il tuo ginecologo…). ovviamente la stessa pratica riguarda anche tutto il resto, per cui nel momento in cui viene fuori l'”emergenza rom” la prima cosa che ci è venuta da fare è stato cercare un contatto con le donne rom della nostra città e capire cosa sta succedendo. queste sono le pratiche che, non senza contraddizioni e difficoltà, cerchiamo di portare avanti.
non capisco perchè ce l’abbiate tanto con gli uomini e soprattutto con gli uomini italiani. mi pare che siate le prime a generalizzare. sembra che esistano gli italiani violenti o pedofili e gli italiani brava gente, che da come li descrivete mi pare di capire che sono tutti gli altri. comunque magari mi direte che non è vero che odiate tutti gli uomini. allora vorrebbe dire che le mie impressioni erano sbagliate.
comunque forse non mi sono spiegato io, perchè vedo che mi avete mandato degli articoli dove si parla di immigrazione clandestina e lavoro nero. io non ho mai parlato di immigrazione clandestina. anzi penso che chi viene in italia e lavora in nero, in condizioni di semischiavitù sia disposto a tutto pur di lavorare.
il problema non sono i clandestini che lavorano in nero, ma gli italiani che li sfruttano.
quando parlo di zingari, non parlo di clandestini, ma di gruppi presenti in italia da generazioni. e non mi sembra che mi abbiate ancora fornito prove che lavorino.
poi non c’è bisogno che mi facciate i soliti discorsi banali (ricambio la mia banalità con la vostra) sul diverso che viene attaccato in quanto tale. non dico di vivere in paese perfetto, conosco benissimo i nostri errori, le schifezze che fanno molti italiani. so benissimo quando la tv si accanisce contro gli stranieri e so benissimo perchè alemanno è diventato sindaco.
ma visto che ho sempre cercato di essere il più obiettivo possibile (anche se magari non sempre ci riesco)penso di poter dire come la vedo su chi sta in italia a non far niente. non è giusto che alcuni italiani pesino sulla società, come non è giusto che pesino molti zingari. i clandestini non c’entrano niente.
sul discorso dei bambini andrebbero tolti a chi li maltratta o li sfrutta. uomo, donna, italiano o no. se ami tuo figlio e lo vuoi tenere ci pensi prima di picchiarlo. (per chi non può mantenerli andrebbe aiutato non privato)
se poi non parlo delle altre problematiche è perchè evidentemente sono d’accordo con voi. ma forse non ci avevate pensato. forse è troppo strano che un uomo la pensi come voi. ma ciò che non capisco è perchè secondo voi il fatto che in italia esista la violenza contro le donne renda gli zingari dei martiri innocenti, dei meri capri espiatori. sono due problemi che non c’entrano niente l’uno con l’altro.
e comunque non ci credo che se girate la sera da sole e vedete un gruppo di rom che vi viene in contro non cambiate strada o attraversate. ma son sicuro che se invece dei rom ci fosse un gruppo di trentenni in giacca e cravatta continuereste tranquille. spero almeno non siate ipocrite.
buona giornata
luca
cmq mi sembra interessante che in un blog dove si mettano a fuoco tutta una serie di problematiche relative alla libertà di scelta e l’autodeterminazione della donna (in questo caso in particolare riguardo alla salute e alla sessualità della donna) gli unici commenti di uomini si interessino di tutt’altro, cioè intervengano solo quando si parla della solita emergenza sicurezza. Fa riflettere,no? Com’è che non avete niente da dire sul resto?
tu apri un altro argomento ancora, da una parte c’è lo stereotipo vecchio come il cuccu dei bambini rapiti dagli zingari (a questo proposito ti invito a guardare una trasmissione che ha fatto gad lerner l’anno scorso in cui si dimostrava come questo fosse uno stereotipo) dall’altra c’è una realtà vera e propria che è l’atteggiamento dei servizi sociali, che quando sgomberano un campo portano i bambini nelle comunità e poi spesso li danno in adozione. Se non è rapimento questo!!! E questo accade anche per le italiane (dopo uno sgombero) che non possono dimostrare la possibilità di mantenerli. Alla faccia della difesa della vita!!!!
Se da un certo punto di vista posso esser d’accordo con quello che dite, qua mi pare si stia buttando troppa carne al fuoco.
Dite -ed è vero eh!- che gli “italiani brava gente” sono sempre pronti a generalizzare, a fare di tutta un’erba un fascio o a voltarsi dall’altra parte. Però mi pare inutile o quantomeno fuorviante, rispondere a certi problemi (perché A VOLTE succede che degli zingari rubino dei bambini… talvolta capita!) con l’esposizione di ALTRI problemi, per quanto reali e drammatici possano essere (il business delle adozioni, quando non addirittura la tratta degli organi, come dicevate).
Se ad una famiglia viene rapito un bambino, a loro interessa ben poco sentirsi dire “eh ma anche i bambini dei Rom vengono rapiti!”
Credo che a loro interessi di più riaverlo, e magari che non capiti ancora. E lo stesso vale dall’altra parte, è chiaro.
Note a piè di pagina per ‘arguti’ non capenti.
1. Non è che si parla di turismo pedofilo o di violenze sui minori per distogliere l’attenzione dal focus, ma proprio per evidenziare come il focus falsificato (la ‘zingara’ che avrebbe cercato di rubare la neonata a Ponticelli – che poi non solo non ha cercato di rubarla, ma nemmeno era rom…) ci distolga dal vero.
Il 24 novembre abbiamo fatto una immensa manifestazione di donne contro la violenza maschile (do you know?) proprio mentre il governo stava usando l’omicidio di una donna, Giovanna Reggiani, per sdoganare il pacchetto sicurezza. In quell’occasione abbiamo reso evidente, e l’abbiamo gridato in 150mila, che NON sono gli stranieri a costituire un pericolo per le donne, MA che ‘la violenza maschile contro le donne comincia in famiglia e non ha confini’. Quindi che la smettessero di cercare di inculcarci l’idea che lo straniero è cattivo, l’italiano rispetta le donne.
2. Se anziché riprodurre luoghi comuni facessi lo sforzino di informarti un po’ su lavoro nero/morti bianche forse capiresti cosa cercavamo di dirti.
Ecco qui qualche link, dopo di che mi dichiaro stufa di spiegare l’acqua calda a chi non ha voglia di capire.
Anche la sordità maschile comincia in famiglia e non ha confini…
http://www.rassegna.it/…oli/rossocontronero6.htm
http://www.benecomune.net/…terna.php?notizia=241
http://espresso.repubblica.it/…immigrati/1567890
Evidentemente le morti degli extracomunitari nei cantieri non sono l’unica cosa che non conosci, ma siccome lo sport nazionale degli italiani è dare opinioni su ciò che non si conosce ti permetti di dire cosa dovrebbero o non dovrebbero fare, dove dovrebbero o non dovrebbero andare a finire persone di altri popoli, ovviamente generalizzando al massimo. Io invece vorrei parlare degli italiani, perche sono quelli che conosco meglio e che incontro tutti i giorni in metropolitana e al lavoro. Quegli italiani che, quando “gli zingari”, insieme con gli ebrei, gli omosessuali, i dissidenti, venivano deportati durante il fascismo non fecero una piega. Gli italiani che oggi non solo non fanno una piega mentre interi campi, intere comunità e famiglie vengono di nuovo deportati, disgregati, annullati, non solo non fanno una piega ma ne godono e si permettono senza vergogna di continuare a insultarli come te(e sto parlando degli “italiani per bene”, non di quelli che incendiano i campi rom o ci fanno sciacallaggio, perchè poi i più pericolosi sono sempre gli “onesti lavoratori” che girano la testa dall’altra parte e fan finta di non vedere). Credo che le “pene esemplari” che invochi tu non serviranno mai a nulla, non cambieranno mai le cose, finchè tutti saranno più attenti a schiacciare i più deboli o i diversi, a conformarsi alla voce della massa, piuttosto che a fermarsi ogni tanto a pensare se il proprio modello di vita è davvero così ineccepibile. Mi spiace che non ci sei arrivato da solo (ma non mi stupisce), ma se tutte ti hanno risposto citando le nefandezze degli italiani, è perchè forse ha più senso che ognuno si faccia una bella analisi sui propri errori, piuttosto che su come ci appaiono gli altri, i diversi, per poi attaccarli. Questo servirebbe davvero per evitare certi orrori, non il carcere a vita. Fra l’altro non vedo perchè dovremmo bloccarti la posta con gli insulti, sarebbe uno spreco di tempo! le banalità che dici tu sono le stesse che ogni giorno ci propina l’informazione ufficiale, tg e giornali, se dovessimo sprecar tempo a insultare tutte le voci del pensiero dominante, non avremmo più tempo per realizzare le tante cose che facciamo per creare un’alternativa, no?! 😉
ciao sono l’arguto commentatore, prima di tutto vorrei dire che rispondere a un discorso sugli zingari con uno sugli italiani pedofili vuol dire non avere reali argomentazioni. e poi non ha senso dire che qualcuno è buono solo perchè esiste qualcuno di più cattivo…
secondo, i pedofili sono una cosa schifosa, ma purtroppo esistono in tutto il mondo, non solo in italia, e quando vengono presi si fanno i loro anni di carcere.(fosse per me gli farei di peggio, ma non ho ridotto io l’ergastolo a 30anni, e non sono io che ho fatto l’indulto…) e comunque io non stavo parlando di pedofili.
potete parlare benissimo di quello volete, ma confrontere gli zingari con i pedofili italiani, sono per far vedere quanto siano cattivi gli italiani mi sembra un po’ riduttivo.
per quanto riguarda il lavoro, non ho assolutamente detto che chi non lavora non ha il diritto di esistere. La società deve aiutare anche chi non può lavorare.
Ma visto che viviamo in una società e siamo noi, italiani e non italiani che vivono qui, che dobbiamo mandarla avanti, chi può lavorare e non lo fa viene mantenuto dagli altri. è giusto mantenere qualcuno perchè non vuole lavorare?
se fosse per me, se fossi al governo, li regolarizzerei tutti, gli farei i documenti, farei diventare i loro figli cittadini italiani, gli farei costruire case popolari, ma non gli darei alcun sussidio di disoccupazione (o quel che è) perchè dovrebbero trovarsi un lavoro e mandare i figli a scuola.
pensate vereamente che preferiscano essere in regola e lavorare o non essere in regola e ricevere un assegno ogni mese? mandarebbero i figli a scuola perdendo i soldi che potrebbero guadagnare mandandoli a chiedere l’elemosina?
riguardo allee morti bianche nei cantieri dell’expo non e so niente, quindi non posso commentare, ma mi pare che quella di “Alle” fosse solo una deduzione logica, che devo dire non è molto riuscita, perchè del fatto che gli zingari non lavorino se n’è sempre parlato
ho messo anche la mail, spero non mi blocchiate la posta con insulti.
luca
già, e chissà se a quel punto il ‘nostro’ arguto commentatore avrà qualcosa da dire anche sulle morti ‘bianche’ nei cantieri dell’expo… ne dubito…
A proposito…guarda caso a Milano queste cose contro i rom e contro “gli immigrati che non lvorano” vengono fuori proprio adesso che c’è da aprire tutti i cantieri dell’expo, e quindi c’è tanto bisogno di manovalanza in nero e a basso costo…che coincidenza!!
Al di là del fatto REALE che quando le persone rom lavorano sono tra le più sfruttate proprio grazie allo stigma che si portano addosso e quindi è come se gli facessero un favore a farle lavorare…
E comunque hai ragione, Penelope: basta con questa storia della rispettabilità che dietro di sé nasconde tanto sfruttamento!
Durante un corteo di migranti ho visto uno striscione molto bello che diceva “VOLEVATE BRACCIA ARRIVANO PERSONE”. Basta con questo mito che chi lavora è bravo e ha diritto di esistere e chi non lavora no!! Per fortuna non tutti scelgono come modello di vita quello di asservirsi il più possibile alle esigenze della produzione! I bravi e i cattivi non si riconoscono da quante ore alla settimana piegano la schiena (e la testa) sul lavoro. NON SE NE PUO’ PIU’ DI QUESTA RETORICA DELL’ONESTO LAVORATORE!!!
Ollallà, ci mancava solo chi ci dicesse quando come e di che parlare.
Ma noi non siamo mai state zitte e infatti ora parliamo ancora di italiani brava gente, che non si smentiscono mai, e per l’occasione rispolveriamo questo articolo del 2001 sui ‘nostri ragazzi’ in missione di pace
http://ogo.noblogs.org/…contingente_italiano.JPG
riconfermato anche oggi da una denuncia di Save the Children che si può sentire qui
http://mediacenter.corriere.it/…d26-00144f02aabc
e leggere nell’articolo qui di seguito
Rapporto-shock dell’associazione non governativa Save the Children
Ecco le testimonianze delle vittime. Già tre anni fa l’Onu aveva indagato
sulle denunce
“Abusi su minori in cambio di cibo”
sotto accusa Caschi blu e Ong
di FRANCESCA CAFERRI
“/> ROMA – “A volte ci domandano di trovare loro delle ragazze, in
particolar modo quelle della nostra età. Spesso gruppi di otto o dieci
uomini dividono fra loro due o tre ragazze. Quando ho provato a consigliare
una ragazza più grande, hanno rifiutato, dicendo che volevano ragazzine
della nostra età”. È la voce di una 14nne della Costa d’Avorio a dare corpo
e drammaticità a un fenomeno purtroppo noto da tempo: quello degli abusi
sessuali che il personale umanitario internazionale – delle Nazioni Unite
come delle tante associazioni non governative attive nei teatri di guerra –
compie sulle popolazioni che è chiamato ad assistere.
Il fenomeno, ammesso dalla stessa Onu che già dal 2005 ha formato una task
force con il compito di indagare sulle denunce di abusi rivolte al proprio
personale, è portato di nuovo all’attenzione con un rapporto
dell’associazione non governativa Save the Children, diffuso ieri.
Lo studio non rappresenta una novità nel campo – dove appunto le analisi più
approfondite sono state condotte dalle stesse Nazioni Unite, sopratutto
nella fase finale del mandato di Kofi Annan – ma dà voce alle vittime e ai
testimoni degli abusi, in particolare in tre paesi caldi come Haiti, Sudan e
Costa d’Avorio. Nazioni dove gravi crisi interne negli anni ?90 hanno
portato al dispiegamento di missioni Onu e all’arrivo di numeroso personale
internazionale di ong e associazioni umanitarie.
“Le ragazze sono orfane, senza madre né padre. Se pensano che sottostare
all’abuso le possa aiutare provano a fare queste cose per avere del cibo”,
dice una ragazza del Sud Sudan. E ancora: “C’è una ragazza che dorme in
strada e un gruppo di persone ha deciso di guadagnare qualcosa portandola ad
un uomo che lavora per un’organizzazione internazionale. L’uomo ha dato alla
ragazza un dollaro (…) poi l’ha presa e l’ha stuprata. Il mattino dopo lei
non riusciva a camminare”, racconta un ragazzo di Haiti.
I testimoni ascoltati dagli operatori di Save the Children indicano nel
personale delle missioni di peacekeeping Onu i responsabili principali degli
abusi: dei 38 gruppi di studio formatisi per la ricerca, 20 parlano dei
caschi blu come degli aggressori più temuti. Dato confermato dalla stessa
Onu che nel 2005 sosteneva che 60 su 67 denunce di abuso riguardavano
appunto i caschi blu. Di fronte al fenomeno Save the Children chiede più
severità nelle punizioni: il caso dei caschi blu marocchini arrestati e
condannati nel loro paese tre anni fa per aver abusato di minori mentre
erano in missione in Congo è ancora un’eccezione.
(27 maggio 2008)
Fonte: http://www.repubblica.it/…-abusi/cibo-abusi.html
Gli zingari amano così tanto i propri figli che li mandano in giro a chiedere soldi e rubare e se non hanno raccimolato abbastanza denaro vengono anche picchiati. quando una volta ho dato un pezzo di focaccia appena comprata ad una bambina zinagara che chiedeva l’elemosina, lei l’ha presa e l’ha buttata in terra. perchè non hanno rispetto per chi cerca di aiutarli. vogliono solo che gli si dia i soldi.
non vedo perchè dobbiamo continuare a pagargli un sussidio di disoccupazione, se quando si cerca di trovargli un lavoro o mandarli a scuola preferiscono chiedere chiedere soldi per strada o rubare. perchè è più comodo che spaccarsi la schiena come operaio. perchè gli albanesi (per fare un esempio)pur di lavorare fanno muratori, operai ecc… e gli zingari no?
invece di stare qui a scrivere della cattiveria degli italiani razzisti pedofili trafficanti d’organi e maschilisti, perchè non affrontare la realtà e andate in un campo nomadi per aiutarli a cercare lavoro? quando l’avrete e ci sarete riuscite ritirerò tutto quanto ho scritto contro gli zingari. fino ad allora non avrete più ragione di parlare.
luca