Aborto: disassistenza programmata. Report della riunione milanese del 13 maggio

Dalla riunione che si è svolta martedì 13 maggio per la formazione di un comitato cittadino a sostegno della campagna Obiettiamo gli obiettori sono uscite molte idee, spunti di riflessione interessanti e anche qualche indicazione un po’ più pratica; purtroppo alcuni/e operatori e operatrici della sanità interessati/e non hanno potuto esserci, così come alcune delle associazioni di migranti. 


Leggi il report della riunione. 

Abbiamo per prima cosa cercato spiegare alcuni dati apparentemente contraddittori.


A Milano città, nonostante lo strapotere di CL e la lottizzazione delle nomine negli ospedali, su sette ospedali che effettuano l’Ivg in tre (Niguarda, Sacco e San Carlo) i primari di ostetricia e ginecologia sono non obiettori. Malgrado l’obiezione di coscienza sia prevista anche per la fecondazione assistita questa non avviene per la fecondazione in vitro.


Gli ospedali ricevono alti rimborsi per le prestazioni di Ivg erogate (a noi risulta essere di 1500 euro a Ivg), a fronte del bassissimo costo della prestazione (non servono infatti specialisti se non l’anestesista o macchinari particolari e il tutto si può fare in day hospital), per cui ogni Ivg è fonte per loro di ampi guadagni, così come del resto tutte le analisi e le altre prestazioni pre-Ivg. E’ necessario smascherare quindi come dietro alla facciata ideologica si nascondano interessi economici ben precisi, sotto al peso dei quali si sgretola la loro "coerenza etica" (se uno è obiettore per motivi morali allora non dovrebbe fare neanche la fecondazione in vitro). Non a caso ormai anziché di ospedali si parla di AZIENDE ospedaliere.


La Regione Lombardia si vanta di avere una sanità di "eccellenza", sia le aziende sanitarie pubbliche sia quelle accreditate devono raggiungere degli standard di qualità (Joint Commission), per tutte le prestazioni funziona un centro unico di prenotazione che mette in rete tutti gli ospedali.


Ma quando si parla di Ivg il centro unico di prenotazione non è compreso, l’Ivg è una prestazione che "scompare" da qualsiasi sito/ opuscolo/ qualsivoglia titolo informativo sui servizi sanitari promossi da regione, provincia, ecc.. 

La presenza costante del "movimento per la vita" all’interno delle corsie, le lobbies di medici obiettori e la conseguente imposizione di una supposta moralità (che in realtà di morale non ha proprio niente), porta le donne ad essere oggetto di frequenti discriminazioni e vessazioni: si pensi alle indegne code per effettuare la visita (al San Carlo le donne si mettono in fila fin dalle 5 di mattina per essere sicure di essere accettate), all’additare coloro che devono abortire in mezzo al pronto soccorso, alla mancanza di assistenza a cui vengono abbandonate quando finisce il turno dell’unico medico non obiettore dell’ospedale …


E’ in atto, in sintesi, una sorta di "DISASSISTENZA PROGRAMMATA" per quanto riguarda l’interruzione volontaria di gravidanza. La situazione, con il nuovo governo, potrebbe anche peggiorare: la maggioranza, con l’aggiunta di qualche teodem democratico potrebbero senza problemi far passare qualsiasi forma di revisione dei diritti delle donne, rivedere la 194, svuotandola ulteriormente, e la presenza di farmacisti, infermieri, medici obiettori, movimento per la vita e affini potrebbe aumentare se non diventare norma.


Appare evidente che quello che si profila, dunque, è uno scontro culturale di più ampia portata intorno ai temi del diritto alla salute e dell’autodeterminazione; il discorso di Ratzinger della settimana scorsa è paradigmatico: ciò che è in discussione è la sessualità, che dev’essere finalizzata esclusivamente a scopo procreativo.


Oltre al tema della discriminazione di chi richiede l’Ivg rispetto a tutte le altre prestazioni sanitarie (per nessun altro tipo di intervento ci sono da fare angoscianti ore di attesa sedute per terra in un corridoio senza neanche la certezza di rientrare tra le prime fortunate che avranno accesso all’Ivg, nessun altro paziente subisce maltrattamenti psicologici a causa del tipo di intervento che deve subire), si è discusso anche di aborto clandestino, grazie alle preziose informazioni delle donne migranti. Infatti, proprio a causa della complessità dell’umiliante iter per accedere all’Ivg, se chi può permetterselo si rivolge a privati o va all’estero per abortire, fra le straniere (che, oltre che avere meno informazioni, hanno anche meno tempo disponibile per la corsa a ostacoli fra consultori, ospedali, ecc..) aumenta invece il numero di chi ricorre a pericolosi metodi "fai-da-te"; la situazione per loro tenderà a peggiorare se entrasse in vigore il reato di immigrazione clandestina, che di fatto allontanerebbe ancora di più queste donne dalla possibilità di usufruire di un loro diritto quale è l’accesso al servizio sanitario nazionale.


Le compagne latinoamericane ci hanno spiegato come parecchie donne immigrate non arrivino neanche a contatto con la struttura sanitaria pubblica: quando hanno problemi di sanità si rivolgono o al Naga (e ci sembra gravissimo che nel libretto informativo del Naga siano consigliati due consultori legati al movimento per la vita e per verificare questo chiederemo loro un incontro) o all’Opera Francescana o all’Ambulatorio medico popolare e per l’interruzione di gravidanza è ormai pratica comune procurarsi dal loro paese farmaci abortivi (che da loro sono gratuiti).


In conclusione, risultano evidenti due fattori, strettamente connessi tra di loro: 


  • la sanità non tutela ed essendo strettamente connessa a logiche di mercato si distanzia da quello che NOI vogliamo e abbiamo il diritto di pretendere: noi siamo soggetti e non oggetti di cura e in quanto protagoniste non possiamo essere escluse dalle decisioni che ci riguardano;
  • e’ in atto una vera e propria discriminazione nei confronti delle donne e una doppia discriminazione nei confronti delle donne immigrate.

 

E’ molto difficile rifiutare la condizione imposta, alzare la testa: sia per l’evidente situazione angosciante di chi deve abortire di fronte ai mille ostacoli imposti ma anche per una sorta di "accettazione passiva", forse perché si rinuncia a rivendicare i propri diritti, forse perché si è smesso addirittura di conoscerli.


Abbiamo dunque deciso di rivederci per lavorare in diverse direzioni, dividendoci in gruppi:


** LAVORO SUI DATI E LE INFORMAZIONI: completare, approfondire, aggiornare e interpretare criticamente il materiale in nostro possesso.

** INCHIESTA: iniziare a elaborare un lavoro di inchiesta su quello che succede al di fuori della legge 194 (aborto clandestino).

** SUPPORTO LEGALE: è stato proposto di organizzare una rete di supporto legale alla denuncia di casi di malasanità a sostegno della campagna OgO. La chiave di volta è qui l’effettiva discriminazione a cui sono sottoposte le donne italiane e straniere da parte degli ospedali. Effettuare dunque una serie di "cause pilota" in questo senso e documentarle. Insomma, tradurre anche in forma legale la piattaforma di OgO. 


Inoltre è necessario continuare ad ampliare e approfondire i rapporti con chi lavora negli ospedali non solo per avere maggiori informazioni, ma per collegarsi ad una eventuale mobilitazione (tramite appelli, ecc..) interna; attivare relazioni con i consultori nell’ottica di incentivare il loro ruolo di mediatori diretti tra le donne e il servizio sanitario pubblico; attivare uno scambio di informazioni con le altre realtà che aderiscono e stanno portando avanti la campagna in altre regioni per confrontarci e coordinarci a livello nazionale.


Nel frattempo, inizieremo ad avviare alcune iniziative mirate (come ad esempio inviare alle Asl e agli ospedali richieste ufficiali riguardo ai servizi/disservizi, o altre iniziative pubbliche di denuncia) con l’obiettivo di ribaltare la passiva accettazione di queste situazioni, di rafforzare la coscienza dei propri diritti perché nessuna si trovi più a subire rassegnata queste discriminazioni.

 

Una risposta a “Aborto: disassistenza programmata. Report della riunione milanese del 13 maggio”

  1. DISASSISTENZA PROGRAMMATA ANCHE NEL PUERPERIO. E POI CI PARLANO DI MATERNITA’…

    Riceviamo questa mail e volentieri la pubblichiamo.

    Care amiche e cari amici, vi invitiamo a promuovere insieme a noi questa petizione rivolta alla dirigenza dell’Asl di Milano, avente in oggetto l’assistenza alle mamme nei primi giorni di vita del bambino.
    Spett. dr.sa Maria Cristina Cantù – Direttore generale ASL Città di Milano
    Vogliamo sottoporre alla Sua attenzione un problema che coinvolge tante donne milanesi, le loro famiglie e l’intera collettività.
    A Milano nascono più di 12.000 bambini e bambine. Le dimissioni delle mamme con i loro bambini avvengono tra le 48 e le 72 ore. Purtroppo le famiglie non hanno più i supporti sociali e culturali legati all’accudimento dei neonati, che erano garantiti nel passato.
    Accade così che le mamme vivano con grande difficoltà il rientro a casa trasformando un’esperienza bella come la nascita in giornate piene di preoccupazione per la salute del figlio oltre che per la propria.
    Il Progetto Obiettivo Materno Infantile, confermato nel Piano Sanitario Nazionale, prevede la visita domiciliare da parte di un’ostetrica entro 8 giorni, a garanzia della normale evoluzione dell’evento. Quante donne la ricevono? E se sì, sono quelle che vivono in situazione di disagio, le meno informate, le più a rischio?
    Sarebbe utile una lettera, intorno all’ottavo mese, in cui si chiede se la puerpera è interessata?
    Auspichiamo un Suo intervento deciso per attivare provvedimenti in linea con le leggi esistenti che valorizzano, tutelano e promuovono il valore sociale della maternità.
    Per aderire alla petizione:
    scrivete una email a petizionepuerpere@unionefemminile.it
    oppure su firmiamo.it cliccando sul tasto FIRMA in fondo alla pagina
    Chiediamo la vostra gentile collaborazione nel diffondere questo appello.

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