Tutto cominciò nel 1976, a Seveso…

Nel luglio 1975 con la legge 405 vennero istituiti i consultori familiari e fu conseguentemente soppressa l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia – Onmi – fondata da Mussolini. Con questa legge si cominciò a parlare di «maternità responsabile», «procreazione responsabile», «tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento», promozione dei metodi anticoncezionali (art.1), pur essendo una legge centrata sulla coppia eterosessuale e sulla famiglia più che non sulla donna. Le femministe criticarono aspramente la medicalizzazione che la legge introduceva, a fronte dell’autogestione della salute che andavano promuovendo.

 

 

Consultori ne esistevano già in precedenza, ma erano strutture private, laiche – come l’Aied, attivo dal 1953 con 35 centri – o cattoliche – come l’Ucipem, Unione consultori italiani matrimoniali e prematrimoniali, costituita nel 1968. [Nota a margine: la Carta dell’Ucipem del 1979, fra i fondamenti antropologici enuncia «L’Ucipem riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento» – affermazione che nel 1938 troviamo nella Politica della famiglia dell’integralista cattolico e fascista Ferdinando Loffredo e che nel 2004 troveremo come art. 1 della legge 40 sulla procreazione assistita].

A Seveso il consultorio venne aperto il 2 agosto 1976, tre settimane dopo la fuoriuscita di diossina, in una sede e con organizzazione provvisorie.

A fronte di una massiccia affluenza di donne – incinte (468), o che chiedevano anticoncezionali (98) o un semplice controllo (198) – mancavano gli operatori e i medici, che vennero momentaneamente sostituiti da tre ginecologi della clinica Mangiagalli di Milano, disponibili tre giorni alla settimana.

Intanto la Commissione per i problemi sanitari, istituita dalla Regione Lombardia presso l’Assessorato alla Sanità, il 30 luglio ’76 aveva suggerito alle donne incinte delle zone contaminate di sottoporsi a controlli e aveva indicato alle altre la misura prudenziale di evitare nuove gestazioni per i sei mesi successivi, fino all’avvenuta bonifica. Da qui sorsero i problemi riguardanti gli anticoncezionali e cominciò ad acuirsi quella spaccatura tra la visione cattolica e quella laica che avrebbe creato ulteriori lacerazioni nelle vite delle donne. Monsignor Guzzetti, capo della Commissione Famiglia della Diocesi di Milano, ad esempio, si scagliò contro l’«azione disturbatrice» e la «speculazione abortista» che, a suo parere, il consultorio pubblico sevesino esercitava. Arrivò a paventare l’esistenza di un«piano generalizzato di sterilizzazione o di contraccezione» e ribadì le indicazioni della dottrina cattolica sugli anticoncezionali, che ammetteva soltanto la contraccezione ‘naturale’ – dottrina che cercò, per fortuna invano, di imporre ad operatori e operatrici del consultorio.

La situazione sarebbe, poi, degenerata completamente dopo che, il 12 agosto, il governo Andreotti dichiarò la costituzionalità della scelta, per le donne di Seveso, di usufruire dell’aborto terapeutico: mentre il direttore di «Avvenire» parlava di «strage degli innocenti», monsignor Tettamanzi, attuale vescovo di Milano, definì quegli aborti «eugenetici» e non «terapeutici». La «inviolabilità della vita del nascituro» sarebbe poi stata dichiarata dalla Cei il 13 settembre, con un comunicato della presidenza, quasi un mese dopo che il papa aveva dichiarato che a Seveso c’era in atto una «sopraffazione psicologica sulle donne in attesa della maternità» (15 agosto).

E così, prima ancora che esistesse la legge 194/78, la chiesa cattolica aveva cominciato quella crociata antiaborista che oggi persiste ancora con gli stessi toni colpevolizzanti.

 
Questo brano è tratto dai materiali dell’incontro Topo Seveso. Produzioni di morte, nocività e difesa ipocrita della vita, organizzato da Maistat@zitt@ (Milano, 14 aprile 2007), che puoi scaricare qui
 
Guarda anche il video-documentario del 1976 su una donna di Seveso che vuole ottenere l’aborto terapeutico.
Cosa è cambiato da allora?
Le Maistat@zitt@ un’idea ce l’hanno: da Seveso a Pianura… 
 
 

2 risposte a “Tutto cominciò nel 1976, a Seveso…”

  1. 2008-07-29 08:46

    SEVESO: ANCORA EFFETTI DIOSSINA SULLE NUOVE GENERAZIONI
    ROMA – A oltre trent’anni persistono ancora gli effetti sulla salute, anche indiretti sulle nuove generazioni, della tragedia di Seveso del 1976: i bimbi nati da donne che vivevano nelle aree contaminate da diossina mostrano disfunzioni tiroidee con probabilità 6,6 volte maggiore dei coetanei figli di donne non esposte.

    E’ quanto attesta uno studio pubblicato sulla rivista PLoS Medicine da Andrea Baccarelli dell’Università di Milano. E’ emersa una netta associazione tra esposizione materna a2,3,7,8-Tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD), la più pericolosa tra le diossine, classificata dall’OMS come carinogeno di classe uno, ed alterazioni della funzione neonatale tiroidea in una ampia popolazione esposta dopo l’incidente di Seveso.

    Era il 10 luglio quando negli impianti chimici della Icmesa di Meda, vicino Seveso, avvenne l’incidente che sprigionò la diossina nei comuni lombardi limitrofi.

    Da allora sono stati molti gli studi sugli effetti sulla salute della mostruosa nube tossica. Questo lavoro è stato condotto per vedere quelli a lungo termine sulle successive generazioni, ovvero sui figli delle donne esposte.

    Gli esperti hanno coinvolto 1772 donne delle zone A e B di Seveso, le zone più contaminate (A, contaminazione molto alta; B, contaminazione alta), e 1772 donne dalla zona circostante non contaminata. “Abbiamo valutato tra il 1994-2005 i nati da donne, in tutto 1014”, riferiscono gli autori, e misurato i livelli neonatali di tireotropina ematica (b-TSH), un ormone tiroideo usato come parametro per capire se la tiroide funziona bene. Livelli di TSH sono troppo elevati sono un indice di disfunzioni tiroidee che nel bambino possono portare a danni permanenti di sviluppo del corpo e del cervello.

    E’ emerso che ancora a distanza di decenni dal disastro, i bimbi delle donne della zona A hanno un rischio di 6,6 volte maggiore di disfunzioni tiroidee (alti livelli di TSH nel sangue); anche nei bimbi di donne della zona B i livelli di TSH sono risultati più elevati della norma anche se con valori intermedi rispetto a quelli della zona A.

    I ricercatori hanno anche riesaminato i dati, disponibili solo per una parte del campione studiato (51 donne) sulla concentrazione ematica di diossina della donna al momento del parto, confrontandoli con i livelli di TSH dei rispettivi figli. Gli esperti hanno visto che i neonati coi livelli più alti di ormone tiroideo sono proprio i figli delle donne che al momento del parto presentavano le concentrazioni più alte di diossina nel sangue. Questa è una dimostrazione marcata del fatto che i livelli di TSH e quindi le anomalie della tiroide nei bambini sono conseguenza diretta dell’esposizione materna, decenni prima, alla diossina.

    Ciò significa che, anche a distanza di molti anni dalla contaminazione, l’esposizione materna alla TCCD produce effetti dannosi sulla salute dei bimbi, concludono gli autori; serviranno ulteriori studi prolungati nel tempo per verificare se le disfunzioni tiroidee riscontrate nei bambini saranno per loro causa di danni di sviluppo.

    fonte: http://www.ansa.it/…izza_new.html_731837243.html

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