La lunga marcia della RU486

Dopo mesi di tira e molla e polemiche L’Agenzia Italiana  per il Farmaco ha infine sancito la commerciabilità in anche in Italia del  Mifegyne, meglio noto come RU486 o pillola abortiva.

Nello scontro fra poteri forti la lobby farmaceutica ha  avuto la meglio sulle pressioni vaticane e quindi da febbraio (questi sembrano  essere i tempi tecnici) anche in Italia questo farmaco sarà disponibile negli  ospedali.

Questa piccola rivoluzione permetterà alle donne una  maggiore libertà di scelta (rimandiamo ad un successivo approfondimento più tecnico le  differenze fra i due metodi abortivi) e, forse, come ci auguriamo, una  riduzione dei tempi di attesa negli ospedali e un miglioramento delle  condizioni per le donne che devono affrontare un aborto.

Gli antiabortisti, messi per una volta all’angolo, temono  proprio l’effetto depotenziante sull’obiezione di coscienza che l’introduzione  della pillola abortiva potrebbe avere (rendendo l’attività degli operatori  sanitari non obiettori più snella e meno gravosa) e quindi stanno sollevando  polveroni insistendo sulla obbligatorietà della "ospedalizzazione" di  almeno tre giorni consecutivi per le donne che vorranno (ma soprattutto  potranno, viste alcune controindicazioni e tempi molto più stretti, per un  limite alla 7ma settimana contro la 12ma per l’intervento chirurgico) usare  questa metodica per l’Ivg.

In realtà, come vedremo meglio tra poco, non solo di  questa ospedalizzazione non c’è bisogno ma, contrariamente a quanto abbaiano  gli integralisti cattolici, non è nemmeno prevista dalla 194.

Infatti la legge dice che:

* l’interruzione deve essere effettuata da un medico in  una struttura ospedaliera pubblica, oppure convenzionata autorizzata, O ANCHE  in un poliambulatorio pubblico adeguatamente attrezzato (art.8)

* il certificato serve alla donna ad ottenere l’intervento  e, SE NECESSARIO, il ricovero (art.8).

Quindi in nessuna parte della 194 si parla di obbligo di  ospedalizzazione per l’Ivg, ma si fa solo riferimento al fatto che della  procedura deve occuparsene un medico, e all’interno di una struttura  autorizzata a farlo.

A margine ci interessa far notare che la legge prevede  invece, a carico delle Regioni, l’aggiornamento del personale ospedaliero  "sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisicae psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione della  gravidanza" (art. 15).

Sulla presunta necessità di questa ospedalizzazione  forzata è utile invece vedere come si è proceduto in alcuni ospedali fino ad  ora: dal 2005 in alcune regioni italiane è infatti in corso una sperimentazione  sull’utilizzo del Mifegyne, tutta questa attività è strettamente monitorata  dalle relazioni annuali che il Ministero della salute deve produrre  sull’applicazione della 194.

La prassi adottata in queste regioni è abbastanza simile e  non prevede ospedalizzazione ma bensì due accessi in day-hospital a distanza di  due giorni per la somministrazione dei farmaci, ed una visita ambulatoriale di  controllo in 14ma giornata; fra tutte le donne assistite solo in un caso è  stata segnalata la necessità di un ricovero di due giorni.

Chi fino ad ora ha svolto sperimentazione sulla RU486,  sapendo di essere sotto stretta osservazione antiabortista, ha evidentemente  adottato modalità, oltre che già testate in altre nazioni, che giuridicamente  non cozzassero con la 194 e le sue ambiguità, e che contemporaneamente non  complicassero inutilmente la vita alle donne e alla organizzazione ospedaliera,  che di tutto ha bisogno fuorché di occupare inutilmente letti preziosi e  personale.

Di queste procedure si prende debitamente atto nelle  relazioni annuali sull’applicazione della 194. Quindi non si capisce perchè,  nel momento in cui si esce finalmente da percorsi-pilota per entrare nella  normale routine ospedaliera, si debbano improvvisamente adottare prassi differenti.

Ci rendiamo conto che è su questo nodo che si svolgeranno  le battaglie all’interno degli ospedali nelle regioni che non hanno finora  partecipato alla sperimentazione, e che il rischio effettivo è di una disparità  di trattamento da una regione all’altra.

E chissà quali sorprese ci riserva la Regione Sagrestia, col suo governatore ciellino pronto a ricandidarsi…