Macabra marcia del Comitato No194 il 12 aprile nelle strade di Milano. Con croci insanguinate addobbate con fetini morti e litanie colpevolizzanti per scacciare il demonio, questi integralisti non si accontenteranno di stazionare davanti agli ospedali, come fanno ogni primo sabato dei mesi dispari, ma tenteranno di imporre la loro presenza lugubre e opprimente nel centro della città. Le parole d’ordine di questi individui sono no all’aborto, no all’eutanasia, no all’immigrazione, no a una sessualità libera e non riproduttiva e si alla famiglia tradizionale ed eteronormativa come unico modello. Come se non bastasse, questo sparuto gruppo di fanatici da sempre va a braccetto ed è sostenuto dai gruppi di estrema destra, con cui condivide – tra gli altri – il desiderio razzista di promuovere la nascita di “più bimbi italiani” proprio come andava blaterando il duce. Un altro esempio di questa collusione con l’estrema destra è la partecipazione dei No194 alle veglie delle “Sentinelle in piedi”, dove Forza Nuova, Fratelli d’Italia, Famiglie Numerose Cattoliche e altri rivendicano il diritto all’omofobia mascherato da libertà di espressione.
Altre storie cattoliche di controllo e dipendenza
Oltre al Comitato No 194, esistono altri soggetti che in nome della morale cattolica limitano le possibilità di scelta delle persone sui propri corpi, proprio come il cosiddetto movimento per la vita che è presente nei consultori e negli ospedali di diverse regioni. In Lombardia, ad esempio, ci sono i Centri di Aiuto alla Vita (CAV) – enti privati cattolici antiabortisti finanziati dalla regione – che erogano fondi a “sostegno della maternità” esclusivamente a quelle donne che rivedono la loro decisione di interrompere una gravidanza. Questo però non è l’unico criterio per erogare fondi: a fine marzo la giunta regione prevede di innalzare a cinque anni il criterio della residenza in Lombardia, escludendo automaticamente le donne migranti. In cambio di 100 euro al mese per un periodo di un anno e mezzo, i CAV impongono un percorso di controllo sociale e culturale, fatto di visite e colloqui obbligatori prima e dopo il parto. Qui vengono veicolate le ben note idee cattoliche su famiglia e maternità, con una notevole pressione sui comportamenti e gli stili di vita delle donne che si rivolgono a questi centri. Questi gruppi di cattolici raccolgono sostegno e approvazione da tutto il mondo politico. Ricordiamo infatti che recentemente il Comune di Milano ha dato l’ambrogino d’oro proprio alla fondatrice dei CAV – Paola Bonzi – e che la provincia ha da poco patrocinato un convegno intitolato “Ideologia del gender: quali ricadute sulla famiglia?”; in questa sede, varie associazioni cattoliche fondamentaliste, ma anche medici e politici si sono ritrovati per condannare aborto, eutanasia, omosessualità, transessualità, contraccezione e sesso non procreativo.
La solidarietà non ha niente a che fare con sentimenti cristiani o con le norme della società dominante. Il cristianesimo più che la solidarietà ha cercato di insegnarci la pietà, ovvero un sentimento ipocrita e falso di delicatezza e rispetto calato dall’alto verso il basso da parte di chi sta in una situazione privilegiata rispetto a chi è più “sfortunato”. Di solito la pietà nasconde un sentimento di disprezzo e ha lo scopo di ripulire la propria coscienza sporca. Non vi è alcun rispetto o complicità tra chi esprime la pietà e chi la riceve, si tratta di un rapporto di tipo gerarchico, degradante per entrambi (Fenrir, 2014).
Le leggi dello stato e le norme della comunità scientifica
Legge sull’aborto
La legge 194/1978 regola il rapporto delle donne con il proprio corpo, conferendo ai medici il potere di vigilare e approvare la scelta di un’interruzione volontaria di gravidanza (IVG). Questa legge rende difficoltoso (e in alcune realtà molto problematico) poter abortire poiché concede al personale sanitario la possibilità di ricorrere all’obiezione di coscienza per rifiutare un’ IVG – come di fatto fa oltre l’80% di medici a livello nazionale. Inoltre, poiché la 194 prevede che una donna possa abortire quando la gravidanza o il parto costituiscono un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, questa legge finisce per patologizzare la scelta della donna di abortire. È necessario sottolineare che il potere degli obiettori cresce sempre di più anche al di fuori di quanto dice la legge: molti si rifiutano di prescrivere la pillola del giorno dopo – anche se non è un farmaco abortivo – o di assistere donne che hanno un aborto spontaneo.
Legge sul femminicidio:
La legge 119/2013 affronta la violenza di genere come una questione di ordine pubblico, inasprendo le pene previste per queste violenze e ignorando gli aspetti sociali e culturali che le fanno esistere. Questa legge considera la donna un soggetto debole: infatti, affidando alla polizia e alle istituzioni giudiziarie la sua tutela, riproduce gli stessi valori che stanno alla base della violenza di genere. In questa legge, le donne senza permesso di soggiorno costituiscono un caso a sé. In caso di denuncia per violenza, è previsto il rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo. Questo può però essere revocato nel caso in cui la donna assume una condotta incompatibile o vengano meno le condizioni che ne hanno motivato il rilascio – condannando così la donna a una condizione di clandestinità.
Ma soprattutto con questa questa legge si è usata strumentalmente la violenza di genere per fare approvare, con il pretesto di un provvedimento dettato dall’”urgenza”, un corposo e generico ‘pacchetto’ di norme repressive che con il femminicidio non hanno niente e che fare. Il testo infatti contiene soprattutto provvedimenti, che sono rivolti chiaramente contro i movimenti di protesta, in particolare i NoTAV, di militarizzazione dei territori per la vigilanza di siti e obiettivi sensibili. .
Legge sulla transizione:
La legge 164/1982 regola la transizione sessuale a quelle persone riconosciute come affette da “disforia sessuale” secondo i criteri della scienza psichiatrica. In particolare, questa disposizione scandisce i termini e i tempi della transizione, imponendo un lungo percorso sanitario, legale e burocratico che si conclude con il cambio anagrafico sui documenti. Siamo di fronte a un susseguirsi di giudizi da parte di dottori, psichiatri e giudici che patologizzano la persona transessuale e la pongono in una condizione di grande dipendenza proprio quando desidera autodeterminarsi e decidere finalmente del proprio corpo.
Patologizzazione dell’intersessualità:
Non esiste alcuna legge che regolamenti la condizione di intersessualità vissuta da persone che nascono con organi genitali non immediatamente ascrivibili a uno specifico sesso. Tuttavia, la comunità scientifica tratta l’intersessualità come una patologia, definendola un “disordine della differenziazione sessuale”. Questo porta a interventi chirurgici di riassegnazione di sesso, realizzati già nei primi giorni di vita delle persone intersex, quindi in un’età che non consente l’espressione del loro consenso. L’invasività di queste operazioni, che oltretutto vanno ripetute nel corso degli anni, non salvaguarda il piacere sessuale e la fertilità.
In tutti questi casi i corpi vengono fatti oggetto di regolamentazioni, con il risultato di rendere le persone dipendenti a tutti gli effetti dalle istituzioni – siano queste la famiglia, la chiesa, gli esperti, gli assistenti sociali, i giudici o la polizia. Queste regolamentazioni ci collocano in una situazione di dipendenza, rendendoci deboli e limitando la nostra possibilità di autodeterminarci. Inoltre rafforzano una visione della vita e delle relazioni organizzata secondo binarismi: sei uomo o donna, sei etero o lesbica, sei cis o trans, sei italiana o non italiana. Tutto questo ci sembra uno limitazione alla nostra possibilità di immaginare noi stess*, i nostri corpi e i nostri desideri. Per di più il sistema dominante non si accontenta di dividerci secondo binarismi, ma dà sempre più valore e riconoscimento a una parte, negando l’altra . Nella società sei privilegiat* se sei uomo, se sei etero, se sei cis, se sei italian*.
Per liberarti dalle catene, devi spezzare chi te le tiene
Per fortuna esistono percorsi individuali e collettivi indisponibili a farsi incasellare negli stereotipi e a farsi vittimizzare, soggettività e gruppi che non si accontentano delle concessioni dello stato, della chiesa e degli esperti di turno. A partire da queste esperienze, noi rivendichiamo la possibilità di creare un immaginario diverso e di poterlo praticare, slegando i nostri percorsi di autodeterminazione dalla difesa o dalla richiesta di una qualsiasi legge. Vogliamo la depenalizzazione di aborto ed eutanasia, vogliamo la depatologizzazione di transessualità, intersessualità ed aborto. Vogliamo riappropriarci dell’aggressività per reagire alla violenza senza deleghe a giudici e poliziotti. Vogliamo costruire relazioni di solidarietà che scardinino dipendenze, gerarchie e privilegi. Solo così possiamo andare oltre all’idea che possa esistere una scelta giusta o sbagliata, rompendo il ricatto che ne deriva. Vogliamo essere noi a decidere per noi stess*.
E il 12 aprile? Come sempre, ci auguriamo che vengano organizzate tante iniziative per rendere la vita difficile a chi vuole controllare i nostri corpi!
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