Inchiesta sugli ospedali milanesi. Clinica Mangiagalli: un’“isola di civiltà”?

Quando lo scorso 14 febbraio in molte città italiane le femministe e le lesbiche scesero in piazza per contestare contro l’irruzione poliziesca nel Policlinico di Napoli in cerca di una donna accusata di “feticidio” (!!!!!), noi organizzammo un presidio non autorizzato contro l’abiezione di coscienza sotto la Clinica Mangiagalli.

Contestando la nostra scelta, una esponente della Rete 194Ragioni in una mail definì la Mangiagalli un’“isola di civiltà”, invitando le donne (e gli uomini) a partecipare al presidio autorizzato indetto in contemporanea dalla Rete in piazza S. Babila, non lontano dalla Prefettura, dove una delegazione sarebbe andata a consegnare una lettera al Prefetto. 

Certo, dal disastro di Seveso per anni la Mangiagalli era stata senza dubbio una clinica rispettosa dell’autodeterminazione delle donne, ma le cose col tempo erano molto cambiate. 

Così avevamo scelto quel luogo e quella modalità proprio perché ci sembrava assai significativo, sia per la ultraventennale presenza del Centro aiuto alla vita-Cav, superfinanziato da Regione e Comune, in un locale interno alla struttura ospedaliera (la cui presidente, Paola Bonzi si sarebbe, da lì a breve, candidata nella lista di Ferrara), sia per le posizioni assunte qualche settimana prima da Alessandra Kustermann (ginecologa, responsabile del Servizio diagnosi prenatale e del Soccorso violenze sessuali, nonché promotrice dello Sportello contro i maltrattamenti all’interno dell’ospedale stesso, nonché in tempi non sospetti sostenitrice dell’introduzione della RU486 e della necessità di un osservatorio sulla violenza contro le donne) a favore delle linee guida di Formigoni sugli aborti terapeutici – linee guida ‘partorite’ in quello stesso ospedale – sia per il cambio della guardia sulla 194 seguito alla morte di Pardi, primario non obiettore (ma paradossalmente favorevole alla presenza dei volontari antiabortisti in corsia, fatto su cui si scontrò anche con Kustermann), sia per infinite altre ragioni tra cui l’attivazione delle “culle per la vita”, moderna versione – videosorvegliata! – della “ruota degli esposti”.

Insomma, per stare lì sotto a contestare sia l’abiezione di coscienza che i giochi politici fatti sui corpi e le vite delle donne di ragioni ce n’erano a iosa, e ancora oggi ce ne sono per pubblicare una scheda informativa su questo ospedale che con le “isole di civiltà” ci pare avere ben poco a che spartire, come ci conferma anche la reazione di Kustermann alla sentenza con cui il Tar Lombardo ha rigettato le linee guida formigoniane.